A star is born

A star is born è un film millantatore

A star is born

Introduzione e problemi strutturali

Con la regia di Brad­ley Coo­per, A star is born è un film usci­to in sala nel 2018 ed è un rifa­ci­men­to dell’omonimo musi­cal data­to 1937. 

Un film che oltre alle innu­me­re­vo­li nomi­na­tion rice­vu­te, ha anche vin­to i pre­mi più impor­tan­ti come la sta­tuet­ta d’oro degli Oscar ed un Gol­den glo­bes. Per­si­no la cri­ti­ca ne ha par­la­to più che bene, facen­do diven­ta­re A star is born uno dei film più di suc­ces­so ed ama­ti del 2018.

 

Ha rice­vu­to can­di­da­tu­re per la miglior sce­neg­gia­tu­ra non ori­gi­na­le, miglior regia, miglior film e mol­te altre, ma vera doman­da è: per­ché que­sto immen­so suc­ces­so quan­do, a con­ti fat­ti, il film non ha nul­la di spe­cia­le?

È una sto­ria pri­va di pathos, che sten­ta ad emo­zio­na­re e anche quan­do ci rie­sce non con­vin­ce appie­no. La nar­ra­zio­ne degli even­ti è trop­po velo­ce e super­fi­cia­le. Ciò fa per­de­re cre­di­bi­li­tà agli even­ti che lo spet­ta­to­re osser­va, non carat­te­riz­zan­do come di dove­re i due per­so­nag­gi prin­ci­pa­li, ren­den­do pres­so­ché inu­ti­li i pochis­si­mi co-pro­ta­go­ni­sti pre­sen­ti e trat­tan­do in manie­ra trop­po appros­si­ma­ti­va temi mol­to inte­res­san­ti ed anche impor­tan­ti.

Il ses­si­smo, la gestio­ne del suc­ces­so, le dipen­den­ze da alcol e dro­ghe, la pau­ra del suc­ces­so altrui, il diven­ta­re l’ombra di se stes­si o di altri, il timo­re del poter rovi­na­re la car­rie­ra ad una per­so­na che ami: tut­ti que­sti temi sono affron­ta­ti in modo assai super­fi­cia­le e tale trat­ta­men­to non aiu­ta ad immer­ger­si nel­la sto­ria seguen­do le vicen­de dei due pro­ta­go­ni­sti.

A star is born

A tal pro­po­si­to anche il mon­tag­gio con­tri­bui­sce ad affon­da­re la pri­ma avven­tu­ra regi­sti­ca di Brad­ley Coo­per. Infat­ti, diver­se scel­te pre­se duran­te la post pro­du­zio­ne han­no fat­to sì che non si capis­se e che non si sen­tis­se il peso del­lo scor­re­re del tem­po.

Tra una sce­na e quel­la suc­ces­si­va, in più fran­gen­ti, non risul­ta pos­si­bi­le com­pren­de­re quan­to tem­po sia pas­sa­to e ciò potreb­be risul­ta­re alquan­to con­fu­sio­na­rio agli occhi di chi guar­da.

In altre sce­ne, inve­ce, il mon­tag­gio fa sì che, mal­gra­do sia pas­sa­ta una con­si­de­re­vo­le quan­ti­tà di tem­po, non si per­ce­pi­sca che cosa sia suc­ces­so ai per­so­nag­gi e di come gli avve­ni­men­ti che non sono sta­ti mostra­ti li abbia­no con­di­zio­na­ti.

Basta pen­sa­re al momen­to in cui il per­so­nag­gio di Brad­ley Coo­per si ritro­va in una cli­ni­ca per disin­tos­si­car­si dal­la sua dipen­den­za da alcol e dro­ga. Il mon­tag­gio non fa capi­re quan­to sia sta­to dif­fi­ci­le per lui e nem­me­no quan­to effet­ti­va­men­te que­sta espe­rien­za gli sia ser­vi­ta. 

C’è solo uno stac­co diret­to in cui egli dice di tro­var­si lì da due mesi, ma allo spet­ta­to­re non è dato sape­re nul­la riguar­dan­te l’esperienza effet­ti­va duran­te quel­le set­ti­ma­ne.

A star is born

Il problema del finale

La man­can­za di pathos cita­ta pri­ma, l’assenza di quel­la scin­til­la che fa pro­va­re un bri­vi­do allo spet­ta­to­re, va a rovi­na­re anche la sce­na chia­ve del fina­le dove il per­so­nag­gio di Brad­ley Coo­per deci­de di por­re fine alla pro­pria vita.

Tra­la­scian­do il fat­to che la sua scel­ta è facil­men­te intui­bi­le poco pri­ma del gesto a cau­sa di una fra­se che egli dice, la sce­na vie­ne rovi­na­ta dal fat­to che, né pri­ma, né dopo di essa, si per­ce­pi­sce quel bri­vi­do di ten­sio­ne che fa immer­ge­re lo spet­ta­to­re.

Esso infat­ti è come un pazien­te, subi­sce lo scor­re­re del­le imma­gi­ni sen­za poter­le apprez­za­re. In segui­to alla mor­te di lui sareb­be sta­to inte­res­san­te, o quan­to­me­no più sen­sa­to, mostra­re una Lady Gaga sull’orlo di una cri­si, in una val­le di lacri­me e trau­ma­tiz­za­ta. Inve­ce la si vede sfer­ra­re un paio di pugni con­tro dei vini­li del defun­to mari­to ed acca­sciar­si per ter­ra con una qual­che lacri­ma che le riga il viso.

A star is born

La conclusione

In con­clu­sio­ne, riten­go che A star is born sia un film soprav­va­lu­ta­to in quan­to non offre nul­la di nuo­vo nel pano­ra­ma del gene­re ed inol­tre ciò che fa vie­ne svol­to anche in una manie­ra assai discu­ti­bi­le. 

Una sce­neg­gia­tu­ra velo­ce che non dà alla sto­ria il giu­sto tem­po di svi­lup­po, per­so­nag­gi prin­ci­pa­li non ben carat­te­riz­za­ti, argo­men­ti impor­tan­ti trat­ta­ti super­fi­cial­men­te, un mon­tag­gio che fa per­de­re di con­cre­tez­za la nar­ra­zio­ne e dei per­so­nag­gi secon­da­ri qua­si del tut­to inu­ti­li ai fini del­lo svi­lup­po nar­ra­ti­vo

Jaco­po Grep­pi