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CINA: UN MONDO DIVERSO

Ave­vo com­piu­to dicias­set­te anni da poco più di un mese quan­do par­tii per il mio anno all’estero in Cina. Mi sta­vo lascian­do tut­to alle spal­le per rag­giun­ge­re un luo­go a miglia­ia di chi­lo­me­tri di distan­za, un luo­go di cui non cono­sce­vo la lin­gua e dove non ave­vo nes­sun tipo di rife­ri­men­to. La fra­se che i volon­ta­ri pre­po­sti all’orientamento ci ave­va­no più spes­so ripe­tu­to e che io mi ero ben impres­sa nel­la memo­ria era che “Non esi­ste un giu­sto o un sba­glia­to, ma solo un diver­so”. Men­tre mi tro­va­vo sull’aereo che mi avreb­be por­ta­ta a Pechi­no, ero con­vin­ta di aver capi­to il signi­fi­ca­to di quel­la fra­se e che sareb­be quin­di sta­to faci­le per me adat­tar­mi ad ogni situa­zio­ne. Non ave­vo idea di quan­to quell’anno di vita in Cina mi avreb­be inve­ce mes­so alla pro­va, di quan­te vol­te avrei avu­to la sen­sa­zio­ne di esse­re in un posto sba­glia­to, trop­po diver­so, così lon­ta­no da ciò che inve­ce rite­ne­vo giu­sto e sen­sa­to, ma soprat­tut­to non imma­gi­na­vo quan­to sareb­be sta­to bel­lo, alla fine, sen­ti­re di aver dav­ve­ro impa­ra­to mol­to.

Il pri­mo ricor­do che ho del­la Cina è il bagno dell’aeroporto. Ave­vo sen­ti­to rac­con­ta­re che lo shock cul­tu­ra­le si sareb­be pro­va­to a vede­re tut­ti quei car­tel­li scrit­ti con carat­te­ri stra­ni, nell’uscire all’aperto e per­ce­pi­re l’inquinamento dell’aria oppu­re nel sen­ti­re cen­ti­na­ia di voci par­la­re una lin­gua sco­no­sciu­ta. Nel mio caso era basta­to tro­var­mi davan­ti al lavan­di­no del bagno e vede­re rifles­sa nel­lo spec­chio davan­ti a me una signo­ra di mezz’età che, sen­za alcun tipo di pudo­re, si era tira­ta giù i pan­ta­lo­ni e si era sedu­ta sul­la tavo­loz­za sen­za chiu­de­re la por­ta. Dopo quel sem­pli­ce epi­so­dio mi ero già dimen­ti­ca­ta la fra­se del giu­sto e del­lo sba­glia­to che ave­vo impa­ra­to poco pri­ma: che tipo di per­so­na va in un bagno pub­bli­co e non si pre­oc­cu­pa se gli altri la pos­so­no vede­re? Noi in Ita­lia chiu­dia­mo le por­te, sia­mo più riser­va­ti, è così che deve esse­re.

Solo qual­che set­ti­ma­na dopo, quan­do duran­te il mio pri­mo gior­no di lezio­ni mi accor­si che i bagni del­la scuo­la una por­ta nem­me­no ce l’avevano, capii che sem­pli­ce­men­te lì fun­zio­na­va così. Il con­cet­to di pri­va­cy dei cine­si, for­se come retag­gio del­la vita in comu­ne nei Lao­gai (劳改) isti­tui­ti da Mao Zedong negli anni ’50, è mol­to diver­so rispet­to a quel­lo che abbia­mo in Ita­lia. Diver­so, appun­to, non sba­glia­to.

Se pen­sa­te che mi fos­se basta­ta quel bana­le epi­so­dio per far­mi capi­re final­men­te il con­cet­to di dif­fe­ren­za tra cul­tu­re, vi sba­glia­te di gros­so.
“Ma cosa signi­fi­ca che non esi­ste uno sba­glia­to”, con­ti­nua­vo a chie­der­mi nei miei pri­mi mesi di vita a Pechi­no; “Mi vole­te for­se far cre­de­re che il modo in cui la gen­te spu­ta per stra­da, masti­ca rumo­ro­sa­men­te men­tre man­gia, rut­ta ed emet­te rumo­ri in pre­sen­za di altri non è sba­glia­to? E voglia­mo par­la­re dei geni­to­ri che non met­to­no il pan­no­li­no ai loro figli ma gli fan­no fare i loro biso­gni per stra­da?”. Più sco­pri­vo nuo­vi aspet­ti ed usan­ze del­la Cina più mi sen­ti­vo distan­te da quel­la fra­se che pri­ma di par­ti­re pen­sa­vo di aver com­ple­ta­men­te assi­mi­la­to. Mi guar­da­vo intor­no e para­go­na­vo ogni cosa all’Italia, alla vita a cui ero abi­tua­ta e ai valo­ri che pen­sa­vo fos­se­ro uni­ver­sal­men­te rico­no­sciu­ti.
Ci vol­le­ro tan­ti mesi e deter­mi­na­zio­ne, ma final­men­te comin­ciai ad apri­re gli occhi. Mi accor­si, ad esem­pio, che la mag­gior par­te dei geni­to­ri dei bam­bi­ni che al posto dei pan­no­li­ni indos­sa­va­no i Kai­dan­g­ku (开裆裤) -pan­ta­lon­ci­ni con una fes­su­ra all’altezza del caval­lo-, si fer­ma­va­no a rac­co­glie­re i biso­gni dei loro figli e li get­ta­va­no nel cesti­no più vici­no. Addi­rit­tu­ra, comin­ciai a pen­sa­re a tut­ta la pla­sti­ca uti­liz­za­ta per fab­bri­ca­re i pan­no­li­ni che la Cina non sta­va spre­can­do e mi chie­si se for­se quel­lo non fos­se dav­ve­ro un meto­do che anche l’occidente avreb­be potu­to adot­ta­re.
Inol­tre, sco­prii che secon­do un’antica cre­den­za cine­se, il famo­so “meglio fuo­ri che den­tro”, tut­to ciò che è impu­ro, come rut­ti e peti, deve esse­re eli­mi­na­to dal pro­prio cor­po, e anco­ra rea­liz­zai che la famo­sa tec­ni­ca cine­se del “libe­rar­si” il naso come fan­no i cal­cia­to­ri deri­va dal­la pras­si socia­le per cui sof­fiar­si il naso usan­do un faz­zo­let­to è con­si­de­ra­to male­du­ca­zio­ne.

Len­ta­men­te ini­ziai a tro­va­re una spie­ga­zio­ne per tut­te quel­le cose che all’inizio del­la mia espe­rien­za mi ave­va­no fat­to arric­cia­re il naso o che ave­vo cata­lo­ga­to come sba­glia­te.
Final­men­te pote­vo dire di aver capi­to il vero signi­fi­ca­to del con­cet­to del “diver­so”, sen­za il giu­sto o lo sba­glia­to. Dopo un anno di vita in Cina tor­na­vo in Ita­lia con la con­sa­pe­vo­lez­za che lì fuo­ri c’era un mon­to inte­ro che aspet­ta­va solo arri­vas­se l’opportunità per far­mi cam­bia­re idea

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io sul­la Gran­de Mura­glia, il mio pri­mo gior­no in Cina.
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Scat­to del quar­tie­re di Pechi­no dove vive­vo.
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Io ed una mia ami­ca cine­se.