È del 6 aprile la notizia dell’istituzione ad opera dell’esecutivo di una nuova task force con il compito di combattere le fake news sul coronavirus. Sarà composta da rappresentanti del ministero della Salute, della Protezione civile e dell’Agcom insieme a un gruppo di giornalisti, debunker ed esperti di comunicazione, e sarà coordinata dalla dottoressa Roberta Villa, già collaboratrice dell’organo anti-bufale dell’Ordine nazionale dei medici

Lo scopo dichiarato, spiega il sottosegretario all’editoria Andrea Martella, è quello di «evitare lo scompiglio e tutelare la salute dei cittadini. Combattere la disinformazione, non le opinioni».
Non sono mancate le critiche, molte delle quali parecchio fondate. Innanzitutto, le fake news che in questi giorni hanno avuto maggiore diffusione sono state proprio quelle messe in circolazione da figure considerate autorevoli: sindaci, presidenti di regione, capi di partito e addirittura virologi che giornalmente si contraddicono l’un l’altro. Per accorgersene, basta guardare alla confusione che persiste ancora riguardo l’uso delle mascherine – servono, non servono, servono solo se non si rispetta la distanza di sicurezza, ora sono obbligatorie, adesso mancano e via andando.
V’è poi un’altra questione, ovvero quella riguardo l’opportunità di istituire una task force simile in un paese in cui l’istruzione pubblica fa poco o nulla per istruire i propri cittadini sulla fruizione corretta dell’informazione, specialmente su quella online, anche alla luce del fatto che essendo il web fisicamente troppo ampio per essere setacciato dalle autorità statali, sarà sempre più compito del lettore distinguere fra fonti affidabili e non.
Ad ogni modo, la ratio dietro al provvedimento è ampiamente condivisibile: in tempi di emergenza come questi, il proliferare di notizie false per destabilizzare o screditare chi gestisce l’emergenza può essere un pericolo per la collettività e soprattutto per i suoi elementi più a rischio, che pagano più di tutti il conto dell’informazione scorretta – basti pensare ai danni causati, non solo in Italia, dalla politica del “tutto aperto” e da chi minimizzava la pericolosità dell’epidemia etichettandola come “semplice influenza”.
O ancora, c’è chi approfitta della situazione di debolezza in cui versa il nostro paese per influenzarne la politica; come evidenzia il rapporto sulle fake news legate al coronavirus redatto da EuDisinfo, alcuni network di informazione legati al governo russo e a Pechino (in Italia principalmente Sputnik RT e Russia Today) hanno deliberatamente diffuso notizie false sulla situazione dell’epidemia in Europa, allo scopo di rafforzare la propria immagine e di minare la fiducia dei cittadini italiani, e non solo, nel sistema sanitario e nell’Unione Europea.
Il problema, si capisce, sta quindi nel trovare una sintesi efficace fra il contenimento delle notizie pericolose e la tutela della libertà di stampa e di espressione. In quest’ottica, quindi, è da ritenersi accettabile – solo e soltanto in situazioni di pericolo come questa – una forma di controllo, e non di censura, sulle notizie riguardanti l’emergenza stessa, che segua però delle linee guida pubbliche e basate sulle indicazioni della comunità scientifica e di enti sovranazionali come l’OMS. Quello che rischia di passare in secondo piano è che misure di questo tipo non sono sufficienti a contrastare il fenomeno delle fake news, e che anzi è necessario che ci si impegni in un lavoro di istruzione alla fruizione delle notizie: educare, non censurare.
Da ultimo, è ipocrita che siano solo i giornali o i siti di informazione ad essere controllati, quando in televisione o nelle conferenze stampa ufficiali spesso politici e opinionisti sono lasciati senza contraddittorio e senza verifica di dati e affermazioni.

Se proprio deve esserci un controllo, che parta dalle classi dirigenti e dallo Stato, che hanno il dovere di fornire ai cittadini un’informazione puntuale e attendibile. Altrimenti, sarà sì il caso di parlare di mancanza di responsabilità dello Stato, con il rischio, poi, di lasciare aperto lo spazio a misure sempre più liberticide, fino ad arrivare alla censura vera e propria.