Owen, Patria, Valore, Dulce et decorum est

Dulce et decorum est pro patria mori: dalla lirica greca a Owen

Un mot­to che attra­ver­sa inte­re civiltà, dal­la Gre­cia a noi, pas­san­do per Roma. Owen con que­sta poe­sia urla al mon­do la sua indi­gna­zio­ne.

Mori­re per la patria

“…non ripe­te­re­sti con tan­to com­pia­ciu­to fer­vo­re a fan­ciul­li ansio­si di far­si rac­con­ta­re gesta dispe­ra­te, la vec­chia Men­zo­gna: Dul­ce et deco­rum est pro patria mori…”

Owen, Patria, Valore, Dulce et decorum est

Con que­sto expli­cit di straor­di­na­ria luci­di­tà, Owen, sol­da­to e poe­ta ingle­se duran­te la Secon­da Guer­ra Mon­dia­le, rin­ne­ga un anti­chis­si­mo topos del­la let­te­ra­tu­ra occi­den­ta­le e, ria­dat­tan­do­lo al con­te­sto del­la moder­ni­tà, lo demi­sti­fi­ca. L’atto dell’ergersi in dife­sa del­la pro­pria patria è un tema più vol­te ripre­so nel cor­so del­la sto­ria, anche e soprat­tut­to in chia­ve pare­ne­ti­ca. Già Cal­li­no e Tir­teo, poe­ti ele­gia­ci del VII seco­lo a.C., ricor­da­va­no ai gio­va­ni guer­rie­ri l’importanza del valo­re mili­ta­re sia per­ché da loro dipen­de­va­no le sor­ti del­la cit­tà sia per­ché, all’interno del­la men­ta­li­tà gre­ca arcai­ca, non c’era nul­la di più gra­ve che soprav­vi­ve­re nel­la con­sa­pe­vo­lez­za di non aver adem­piu­to al pro­prio dove­re. Di qui l’invito a com­bat­te­re corag­gio­sa­men­te e, pur di non vede­re i cada­ve­ri dei pro­pri padri nel cam­po di bat­ta­glia, mori­re. In cam­bio la vene­ra­zio­ne dei con­cit­ta­di­ni e glo­ria impe­ri­tu­ra.

Wil­fred Owen

Ma la sal­vez­za del­la patria non è abba­stan­za nell’ottica di Owen per giu­sti­fi­ca­re gli orro­ri del­la guer­ra. La sua testi­mo­nian­za, per come è pro­po­sta, sem­bra tesa ad un’ideale ele­va­to, alme­no quan­to quel­lo dei poe­ti arcai­ci, ma assai più visio­na­rio. Senz’altro deve aver­lo toc­ca­to la pro­spet­ti­va di un mon­do come quel­lo descrit­to da John Len­non nel­la sua cele­bre “Ima­gi­ne”, un mon­do in cui non è neces­sa­rio né sacri­fi­car­si per i pro­pri cari né, in defi­ni­ti­va com­bat­te­re. Cer­to, la guer­ra descrit­ta da Owen è diver­sa da quel­la com­bat­tu­ta nell’antichità. Là non si usa­va­no le bom­be a gas, non si sca­ra­ven­ta­va­no le sal­me nei fur­go­ni. Vige­va­no del­le rego­le, come quel­la di dare degna sepol­tu­ra ai defun­ti affin­ché “cani e uccel­li non ne faces­se­ro stra­zio”, era un uni­ver­so per­mea­to di sacra­li­tà. For­se Owen non disde­gna la guer­ra in sé, pur­ché il sol­da­to -e l’uomo- ven­ga rispet­ta­to.

All’ori­gi­ne del mot­to

La for­mu­la­zio­ne del mot­to ripre­so da Owen e che abbia­mo posto come tito­lo a que­sto arti­co­lo è da attri­bui­re al poe­ta lati­no Ora­zio (I seco­lo a.C.). Egli, in Odi III, 2, evi­den­zia l’ineluttabilità del­la mor­te e soprat­tut­to la vani­tà del­la fuga del sol­da­to a cui sul cam­po di bat­ta­glia ven­ga meno il corag­gio. La Vir­tus cele­bra­ta dal poe­ta luca­no è senz’altro distan­te da quel­la ome­ri­ca (cui i poe­ti ele­gia­ci ad ampi trat­ti si ispi­ra­no), per­ché pro­pria di un’età in cui ad esse­re mac­chia­ta non è solo la stir­pe del codar­do, ma la glo­ria dell’intera Roma­ni­tà.

Archi­lo­co e il “lan­cio del­lo scu­do”

Pres­sap­po­co coe­vo di Cal­li­no e Tir­teo, Archi­lo­co fu un poe­ta anti­con­ven­zio­na­le. Rove­scian­do l’etica di cui si ha fino­ra par­la­to, egli soste­ne­va che, pur di aver sal­va la vita, non fos­se ver­go­gno­so get­ta­re lo scu­do e abban­do­na­re la bat­ta­glia. Gran­de inno­va­to­re dal pun­to di vista con­cet­tua­le a giu­di­ca­re dai pochi fram­men­ti che ci sono per­ve­nu­ti, Archi­lo­co sem­bra disprez­za­re il modo in cui la tra­di­zio­ne, di cui egli stes­so fa par­te, pone in secon­do pia­no il valo­re del­la vita e dell’individuo. Que­sto tema dove­va esser­gli par­ti­co­lar­men­te caro dal momen­to che anch’esso -com’è lui stes­so a dir­ci in un fram­men­to- è sol­da­to pri­ma che poe­ta. Det­to ciò for­se non è trop­po azzar­da­to col­le­ga­re fra loro que­ste due figu­re che, se inse­ri­te nel pro­prio con­te­sto cul­tu­ra­le, sono carat­te­riz­za­te da un modo simi­le di vede­re la guer­ra e di valo­riz­za­re la vita uma­na.