Federico II è forse l’unico degli imperatori germanici del Medioevo, insieme al Barbarossa, a occupare un posto di primo piano nell’immaginario collettivo. La sua figura evoca all’istante immagini potenti: la nascita in circostanze quasi miracolose, l’amore per l’arte e per la letteratura, i fasti della corte di Palermo, immortalati nei versi dei lirici della Scuola Siciliana. Ma anche la scomunica, il conflitto con il papato e lo scontro con i comuni italiani, culminato con la disastrosa sconfitta di Parma nel 1248.

Federico II di Svevia
Originario di Parma era anche Salimbene de Adam, forse il più feroce dei suoi critici, che nella sua Cronaca lo dipinge come “senza fede, scaltro, accorto, malizioso, facile all’ira”, nemico acerrimo della Chiesa e della Cristianità. Di simile avviso era lo stesso Papa Gregorio IX, che nella bolla con cui annuncia la scomunica dell’imperatore lo accomuna alla “bestia piena di nomi di bestemmia” dell’Apocalisse di Giovanni.
Di tutt’altro tenore erano i resoconti di chi entrava in contatto con la sua corte: Federico è ora “l’erede di Cesare” (Goffredo da Viterbo), lo “stupor mundi e miracoloso trasformatore” (Matteo da Parigi), per Pietro da Eboli “la pace nasce con lui”. La sua figura gode di enorme prestigio anche sull’altra sponda del Mediterraneo, presso i Saraceni; Abu al-Fada, ambasciatore del Califfo alla corte imperiale, riporta che “l’imperatore era uno dei re franchi, generoso, vago di filosofia, logica e medicina, e amava i musulmani, essendo stato educato nell’isola di Sicilia”.
Federico Ruggero di Hohenstaufen - e di Sicilia, duca di Svevia, Re dei Romani e poi Imperatore del Sacro Romano Impero e re di Gerusalemme
La grande diversità delle testimonianze dei contemporanei ci fa apprezzare la complessità di una figura che anche la storiografia moderna fatica a inquadrare completamente. Sovrano illuminato e grande legislatore, fu uomo di lettere e di cultura, poliglotta e fautore del dialogo fra Arabi ed Europei, ma allo stesso modo spietato nel reprimere il dissenso e le sommosse e scaltrissimo nel muoversi fra gli intrighi politici.
Dei ritratti a lui dedicati dalla storiografia contemporanea, il più monumentale – e controverso – è senza ombra di dubbio il Federico II – imperatore di Ernst Kantorowicz, del 1927. Kantorowicz faceva parte della cerchia di seguaci del poeta Stefan George, che teorizzò un modello di storiografia che mettesse in secondo piano l’oggettività degli eventi per concentrarsi sulle immagini, sulle leggende e sui miti che circondano un personaggio storico. Ecco che quindi Federico viene innalzato a Erster Kaiser, primo imperatore, figura leggendaria e simbolo dell’identità tedesca, ultimo sussulto di un mondo feudale ormai prossimo a cedere il passo alla società borghese e rinascimentale.
Federico diventa l’esempio perfetto di un altro concetto caro a Kantorowicz, quello della dualità del corpo del Re. Un sovrano, secondo lo storico tedesco, possiede due dimensioni corporali: una naturale, soggetta alla morte, e una mistica, innaturale, che non può morire. Ed è questa componente mistica che segna il lascito di un sovrano. L’eredità di Federico di Svevia è quella di una figura ambigua, difficile da classificare, circondata dal mito e dalla leggenda eppure terribilmente attuale, esempio grandioso della complessità di un mondo, il Medioevo, che ancora fatichiamo a comprendere.