“Giù il cappello, signori, un genio” – viaggi e meraviglie del primo Chopin
Come moltissimi dei grandi nomi della musica classica, anche Chopin è stato a tutti gli effetti un bambino prodigio. Nato vicino a Varsavia nel 1810, si trasferisce dopo pochi mesi con la famiglia nella capitale, dove prende le prime lezioni di pianoforte dalla madre, dimostrando sin da subito il suo straordinario talento; a sette anni compone i suoi primi brani – due polacche, in sol minore e in si bemolle – a otto tiene il suo primo concerto pubblico, a quindici si esibisce davanti allo Zar Alessandro, che impressionato gli regala un anello di diamanti. Entrato al prestigioso conservatorio di Varsavia lascia talmente stupefatti i suoi maestri che nel giudizio finale lasciano scritto soltanto “Frédéric Chopin, allievo di terzo anno. Capacità incredibili, un genio della musica”. Terminati gli studi di musica, inizia a viaggiare per l’Europa, prima a Berlino, poi a Vienna, Varsavia, di nuovo Vienna e infine Parigi, dove si stabilirà definitivamente affermandosi come uno dei musicisti più in vista del panorama mondiale.

É proprio a Vienna che tiene il suo primo concerto all’estero, riscuotendo un enorme successo presso il pubblico austriaco. A raccontarcelo è un testimone d’eccezione: Robert Schumann, ai tempi giornalista per la Allgemeine Musikalische Zeitung:
« suonava come se fosse posseduto, coniugando innumerevoli sfumature di suono con la più limpida vivacità, come se lo spirito del momento avesse innalzato le sue dita al di sopra della loro funzione meccanica (…) queste variazioni continuano a girarmi per la testa; sebbene l’esposizione del tema sembrasse a volte un po’ rigida, l’introduzione, le variazioni, il finale e l’Adagio, devo ammetterlo, compensano pienamente, e l’insieme è eccezionale – è una musica che sprizza genio da ogni misura, giù il cappello, signori» [1]
Il brano a cui si riferisce Schumann sono, appunto, le sei variazioni sul tema Là ci darem la mano, dal Don Giovanni di Mozart. Credo sia utile soffermarcisi un attimo, perché nonostante siano opera di uno Chopin ancora molto giovane e immaturo dal punto di vista artistico, esse contengono molte delle caratteristiche dei suoi lavori successivi, oltre ad essere un pezzo di notevolissima bellezza e ricercatezza musicale.
L’introduzione, è il caso di dirlo, è una meraviglia a sentirsi. Inizia in piano, con la melodia che viene introdotta secondo uno schema a due voci, prosegue poi diventando sempre più sognante e drammatica e via andando si trasforma in quella che sembra una vera e propria improvvisazione, con scale cromatiche, arpeggi, terze e ottave alternate che costituiscono, letteralmente, una finestra su quello che sarà la musica in Europa nei successivi vent’anni.

Dopo l’introduzione c’è l’esposizione vera e propria del tema, dal sapore ben più classico e giocoso che, come da qui in poi tutte le altre variazioni, si chiude con il tutti dell’orchestra. La prima variazione è costruita attorno ad un doppio contrappunto che, come qualcuno ha fatto notare, avrebbe reso fiero il miglior Bach, di cui Chopin era fra l’altro un grandissimo estimatore, mentre la seconda è un furioso elaborare sulla melodia, dove capiamo perfettamente cosa intendeva Schumann con «queste variazioni continuano a girarmi per la testa».
Nella terza variazione, a fronte di una mano destra che riporta ad accordi la melodia, è la sinistra ad essere messa alla prova da un vivacissimo basso continuo, davvero impegnativo per quanto riguarda articolazione e controllo. La quarta è un dispiego di virtuosismo e abilità dinamica, difficilissima da eseguire, la quinta – un Adagio particolarmente espressivo – è forse quella che si distacca più di tutte dalle altre variazioni, mentre la sesta, l’ultima, è una coda alla polacca, ispirata cioè alla musica popolare della sua terra natale, un tema molto ricorrente nelle sue produzioni successive.
Quello del tema e variazioni sarà un tema poco esplorato da Chopin in seguito; ciononostante, molte delle idee e delle innovazioni presentate per la prima volta con le Variazioni – l’alternarsi di terze e ottave, l’uso dell’arpeggio e della scala cromatica, il suo modo unico di elaborare la linea melodica – diventeranno poi gli aspetti fondamentali della sua opera, venendo assunti negli anni seguenti a pilastri del Romanticismo musicale e influenzando le generazioni successive per anni. È privilegio di chi guarda a tutto questo secoli dopo vedere come sia nato qualcosa di così straordinario, e anche noi, come Schumann per primo e mille altri dopo di lui, ci togliamo il cappello di fronte a questo genio diciassettenne.
[1]: nella traduzione ho semplificato molto il testo originale – un dialogo fra tre personaggi immaginari – al fine di non dilungarmi troppo e rendere più comprensibile il tutto. Per chi volesse, ad ogni modo, può trovare qui l’articolo completo (già tradotto in inglese, l’originale è in tedesco)