House of Gucci, Ridley Scott, Lady Gaga, Adam Driver, Patrizia Reggiani, Maurizio Gucci, Caso Gucci, cinema, film, Storia di un matrimonio, Jared Leto

House of Gucci: l’avidità come motore di distruzione di un nucleo famigliare – parte 2

(leg­gi qui la par­te 1)

I per­so­nag­gi di Lady Gaga e di Jared Leto (Pao­lo Guc­ci) con­tri­bui­sco­no senz’altro a  ren­de­re “Hou­se of Guc­ci” anco­ra meno immer­si­vo.

La pri­ma, non essen­do un’attrice, arran­ca e in diver­se sce­ne si capi­sce che sta sem­pli­ce­men­te pro­nun­cian­do del­le bat­tu­te impa­ra­te a memo­ria.

Il secon­do, inve­ce, risul­ta trop­po sopra le righe e mac­chiet­ti­sti­co, tan­to da risul­ta­re ridi­co­lo e fasti­dio­so visto che a tale carat­te­riz­za­zio­ne non sem­bra cor­ri­spon­de­re una scel­ta di sti­le pon­de­ra­ta.

C’è chi potreb­be vede­re del grot­te­sco nell’approccio scel­to per par­la­re dell’avidità del­la fami­glia, dei suoi fan­ta­smi e del­le sue sfu­ma­tu­re, ma pur­trop­po non è così. Sfor­tu­na­ta­men­te, i per­so­nag­gi di “Hou­se of Guc­ci” sono pen­sa­ti e mes­si in sce­na in una manie­ra tale che dif­fi­cil­men­te pos­so­no fun­zio­na­re.

I pro­ble­mi di rit­mo, l’assenza di emo­zio­ni e l’evidente inde­ci­sio­ne riguar­do al per­so­nag­gio su cui foca­liz­za­re l’attenzione, con­tri­bui­sco­no a crea­re discon­ti­nui­tà tra le sce­ne. Si ha qua­si l’impressione che le vicen­de suc­ce­da­no sen­za una logi­ca. Infat­ti, non sem­bra esser­ci un per­cor­so evo­lu­ti­vo linea­re e abba­stan­za for­te che por­ti Patri­zia ad assol­da­re il kil­ler. Non si crea uno svi­lup­po dei per­so­nag­gi tale da giu­sti­fi­ca­re le sce­ne e gli epi­so­di che si suc­ce­do­no. Per­si­no la sce­na in cui Guc­ci vie­ne fred­da­to risul­ta qua­si ridi­co­la e pri­va di emo­zio­ni.

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Non si può dun­que par­la­re di grot­te­sco, ma qua­si di un pastic­cio nar­ra­ti­vo che met­te insie­me vari momen­ti che, se pre­si sin­go­lar­men­te, potreb­be­ro anche fun­zio­na­re, ma che nell’ottica glo­ba­le del film non rie­sco­no nel loro inten­to.

La foto­gra­fia di “Hou­se of Guc­ci”, inve­ce, risul­ta evo­ca­ti­va, dato che met­te in sce­na colo­ri desa­tu­ra­ti e fred­di che ripor­ta­no all’atmosfera tetra del delit­to. 

Ma sia­mo sicu­ri che fos­se la scel­ta giu­sta da appli­ca­re a tut­to il film? For­se sareb­be risul­ta­to più inte­res­san­te vede­re un pro­gres­si­vo cam­bia­men­to del­le tona­li­tà di colo­re. La gam­ma di colo­ri si sareb­be potu­ta desa­tu­ra­re pro­gres­si­va­men­te seguen­do la spi­ra­le che por­te­rà alla mor­te di Guc­ci.

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Con­clu­den­do, “Hou­se of Guc­ci” risul­ta un film che vor­reb­be por­ta­re in sce­na un caso di omi­ci­dio, mostran­do i moti­vi che han­no por­ta­to alla sepa­ra­zio­ne del­la cop­pia e al delit­to, ma che non rie­sce nel suo inten­to.

La gestio­ne degli atto­ri, la manie­ra incon­clu­den­te di foca­liz­zar­si pri­ma su Lady Gaga e poi su Adam Dri­ver, pur­trop­po non comu­ni­ca­no nes­su­na emo­zio­ne allo spet­ta­to­re che, una vol­ta usci­to dal­la sala, si dimen­ti­che­rà pre­sto del film.

Jaco­po Grep­pi