
L’incontro con il Grande Inquisitore
Avvenne quando per la prima volta presi in mano l’imponente romanzo di Dostoevskij I fratelli Karamazov e cominciai a sfogliarlo pigramente, -sapevo infatti quanta fatica mi sarebbe costata leggerlo tutto-, che venni a conoscenza della leggenda del Grande Inquisitore.
Prima d’allora non ne avevo mai sentito parlare, ma fin da subito qualcosa, che certamente risiedeva in quel nome vagamente inquietante, mi suggerì che doveva trattarsi di un’idea rivoluzionaria. Lessi le pagine che precedono la sua entrata in scena con grande ardore misto a incredulità. Semplicemente mi chiedevo come colui che aspettavo di incontrare con tanta impazienza potesse intervenire in una storia che andava in tutt’altra direzione. Alla fine il suo prodigioso coinvolgimento si è spiegato, ma in modo del tutto inaspettato: raccontata da Ivan Fëdorovič Karamazov, a cui Dostoevskij, come per discolparsi del micidiale prodotto della sua fantasia, attribuisce la paternità del Grande Inquisitore, questa incredibile vicenda è un inciso, una parentesi nell’economia di un romanzo colossale come I fratelli Karamazov, ma non certo per importanza. Se sviluppata, quest’idea avrebbe tutte le potenzialità per dare origine ad un’opera a sé stante e, in effetti, com’è Ivan stesso a spiegare al fratello Alëša, è questa la sua intenzione, scrivere un poema, di cui però, per qualche ragione, ha finora deciso di limitarsi a conservarne la trama nella memoria. La vicenda che Ivan sottopone al fratello si caratterizza per una forza blasfema: un inquisitore spagnolo spiega a Cristo reincarnato le ragioni per cui la Chiesa ha deciso di ripudiarLo ed espone con stupefacente lucidità il progetto che si propone di realizzare.
Il processo a Cristo
La principale accusa che pende sul capo di Cristo consiste nel fatto che Egli, pur amando gli uomini, -qualcuno direbbe perché li amava troppo-

ha ignorato la loro naturale debolezza, gravandoli con un fardello che non potevano sostenere, quello del libero arbitrio. Nello specifico l’errore di Cristo risiede nel non aver ceduto al diavolo, come si legge nei Vangeli, quando costui Gli fece le tre fatidiche proposte che vanno sotto il nome di “Tentazioni”. Opponendosi allo lui, Cristo non solo ha ripudiato il Male, ma ha anche investito l’umanità di un alto incarico: la fede incondizionata in Dio sarebbe dovuta provenire da una deliberazione della coscienza. Se Cristo avesse acconsentito ad almeno una delle tre proposte del diavolo, ora, secondo l’Inquisitore, il mondo sarebbe molto diverso, migliore. Le tre Tentazioni sono accomunate da un filo conduttore: in cambio di un’intesa con le forze del male Cristo si sarebbe assicurato il dominio del mondo, la fede dell’intera umanità. Ma se Egli ha deciso di non scendere a patti con il diavolo è proprio in virtù di quanto si è detto prima: preservare il libero arbitrio è quanto di più alto Cristo si sia proposto. Si basa su questa circostanza il punto di rottura fra le due Chiese, terrena ed eterna. La prima ha saputo riconoscere la sostanziale debolezza della maggioranza degli uomini, i quali, a dimostrare questa tesi, subito dopo la morte di Cristo hanno stornato la libertà che Costui morendo gli aveva procurato e l’hanno affidata alla Chiesa terrena, affinché quella la custodisse senza che fossero loro a doversene occupare.

Il progetto della Chiesa
Di qui giungiamo al nocciolo della questione. L’Inquisitore prospetta la fondazione di un Regno cristiano universale, in apparenza unito nel nome di Dio, in realtà privo di qualsiasi legame con Lui.
A questa strumentalizzazione della religione si aggiunga il beneficio del pane. La Chiesa sazierà l’umanità intera e ciò sarà sufficiente per garantirsi il pieno appoggio dei popoli. Cristo invece, come si racconta, si è rifiutato di “comprare” la fede degli uomini. Trasformando le pietre in pane avrebbe ricondotto il gregge degli uomini ad un unico pastore, perché, nell’ottica dell’Inquisitore, essi, vili come sono, venerano chi li sfama e non chi promette una ricompensa ultraterrena. Per giunta avrebbe dato prova della propria onnipotenza, sfruttando il miracolo, che è un presupposto essenziale per la fede degli uomini comuni. Questi ultimi compongono la maggioranza e se ce ne sono degli altri che invece sono inclini a sopportare una vita fatta di privazioni pur di mantenersi fedeli a Cristo, non significa che i deboli debbano essere trascurati. Cosa di cui Cristo è accusato. Li ha abbandonati alla loro sorte ed è per questo che la Chiesa terrena ha deciso di prenderli a proprio carico:
“Dimostreremo loro che son deboli, che non sono altro che dei poveri bambini, ma che in compenso la felicità bambinesca è la più soave di tutte. Essi si faranno timidi e s’avvezzeranno a girar gli occhi a noi e a stringersi a noi tutti spaventati, come pulcini alla chioccia… Una pusillanime trepidazione dell’ira nostra s’impadronirà di loro, le loro intelligenze s’intimidiranno, i loro occhi diverranno facili alle lacrime, come quelli dei bambini e delle donne: ma con altrettanta facilità, a un nostro cenno, passeranno all’allegria e al riso, alla più limpida gioia, e alle beate canzoncine infantili… In silenzio essi morranno, in silenzio si estingueranno nel nome Tuo, e oltre tomba non troveranno che la morte. Ma noi manterremo il segreto, e per la loro stessa felicità, li culleremo nell’illusione d’una ricompensa celeste ed eterna. Infatti, seppure ci fosse qualcosa nel mondo di là, non sarebbe davvero per della gente simile a loro.”
Quanto ci sta a cuore la libertà?
Qualora mi si domandasse se sia giusto o meno accogliere il proposito della Chiesa, dirò che le argomentazioni dell’Inquisitore possono apparire convincenti. Egli valuta l’operato di Cristo in relazione alla natura di un’umanità che dimostra di conoscere a fondo, e dalle sue parole si evince il suo inveterato amore verso gli uomini. Insomma, l’esigenza del Regno di cui egli auspica la creazione, nonostante l’indignazione che potrebbe suscitare nel lettore, parrebbe a beneficio degli uomini e non a loro sfavore. La Chiesa, presa coscienza della naturale bassezza umana, corre ai ripari, assicurando all’uomo una vita felice, scevra del fardello di quel libero arbitrio a cui Cristo ha dato tanta importanza, ma che gli uomini non sono in grado di sostenere.
A questo punto al credente non resta che domandarsi: è meglio essere schiavi felici o uomini liberi ma angosciati? E soprattutto, nel caso in cui qualcuno trovasse attraente la società prospettata dall’Inquisitore, è davvero sicuro che le intenzioni della Chiesa siano buone come l’Inquisitore vuol farci credere? Non è da escludere che ancora una volta alla base di tutto soggiaccia una brama di potere senza scrupoli e un’irrimediabile avidità.