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Indossare una voce

Quan­do sono al cine­ma mi capi­ta spes­so di pre­sta­re più atten­zio­ne alle voci che alle imma­gi­ni. Pen­so a dove ho già sen­ti­to quell’accento e, dopo aver tro­va­to la rispo­sta, mi accor­go di esser­mi per­sa tut­to l’inizio del film. Ma l’arte del saper ascol­ta­re ha anche i suoi lati posi­ti­vi, e di sicu­ro è una qua­li­tà che non può man­ca­re a un dop­pia­to­re.

Par­lia­mo di una pra­ti­ca nota a tut­ti, ma del­la qua­le rara­men­te si cono­sco­no i det­ta­gli: il dop­piag­gio è il pro­ce­di­men­to vol­to a sosti­tui­re un’intera colon­na sono­ra par­la­ta e musi­ca­ta in una tra­dot­ta e adat­ta­ta. Qual­co­sa di imper­cet­ti­bi­le all’occhio di chi guar­da, ma non per que­sto ine­si­sten­te.

Il suo svi­lup­po ini­zia con il cine­ma sono­ro e con l’esigenza da par­te del­le pri­me majors hol­ly­woo­dia­ne di appro­da­re nel mer­ca­to cine­ma­to­gra­fi­co euro­peo. Allo­ra veni­va usa­ta la tec­ni­ca del­le ver­sio­ni mul­ti­ple, il film era gira­to più vol­te in lin­gue diver­se.

Il vero e pro­prio dop­piag­gio entra nel­le sale ita­lia­ne solo negli anni 30, con una leg­ge di Sta­to che proi­bi­va la pro­ie­zio­ne di film stra­nie­ri in lin­gua ori­gi­na­le. Un suc­ces­so imme­dia­to, e sape­te per­ché? La gran­de fet­ta di popo­la­zio­ne anal­fa­be­ta non pote­va di cer­to segui­re i dia­lo­ghi sot­to­ti­to­la­ti. Così dal pri­mo sta­bi­li­men­to crea­to a Roma fu solo un cre­scen­do. La tec­ni­ca miglio­ra e i tem­pi si accor­cia­no, per­ché se all’inizio era­no neces­sa­ri due mesi per adat­ta­re un film, ades­so tut­to può esse­re fat­to in due gior­ni, come nel caso di La La Land. Resta però la com­ples­si­tà, in par­ti­co­la­re nel dop­piag­gio in sin­cro­no, dove il suo­no deve esse­re ben incol­la­to all’immagine. Nel­lo stu­dio ogni figu­ra è essen­zia­le. Il dia­lo­ghi­sta tra­du­ce e loca­liz­za le bat­tu­te, il sin­cro­niz­za­to­re si occu­pa del lip sync, il foni­co regi­stra l’audio com­ples­si­vo. Non si par­la quin­di di sem­pli­ce tra­du­zio­ne e nem­me­no di bana­le simu­la­zio­ne.

Ci sono però opi­nio­ni con­tra­rie. C’è chi vede il dop­piag­gio come un modo per smi­nui­re, per fare pro­prio a tut­ti i costi eli­mi­nan­do l’autenticità. Ma se pren­dia­mo come rife­ri­men­to i dop­pia­to­ri che san­no dare cor­po alla paro­la, allo­ra non si può nega­re la bel­lez­za del risul­ta­to fina­le.

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E’ incre­di­bi­le come nei casi di pel­li­co­le impor­tan­ti sia pre­te­sa una per­fet­ta inter­pre­ta­zio­ne sen­za con­ce­de­re al dop­pia­to­re una visio­ne com­ple­ta del­la sce­na. Ven­go­no mostra­te imma­gi­ni crip­ta­te e a vol­te uno scher­mo nero dove rima­ne visi­bi­le un ova­le, il roto­sco­pe, che mostra il vol­to o addi­rit­tu­ra solo la boc­ca del per­so­nag­gio. Spes­so non è garan­ti­to nem­me­no l’ordine cro­no­lo­gi­co del­le vicen­de, per que­sto si par­la di un lavo­ro al buio. I dop­pia­to­ri si accor­go­no di quel­lo che è real­men­te la sce­na solo al cine­ma, ed è pro­prio lì che, sedu­ti accan­to a chi si sta emo­zio­nan­do con la loro voce, pos­so­no dir­si sod­di­sfat­ti del pro­prio lavo­ro. La pros­si­ma vol­ta che anda­te vede­re un film quin­di sta­te atten­ti a chi vi sta vici­no, potreb­be esse­re uno di loro.

Sofia Cic­cot­ta