Quando si pensa ad Edgar Wright, non si può che pensare ad un autore in grado di portare in scena una narrazione solida e compatta, condita ed elevata da un comparto visivo eccellente e da un montaggio estremamente caratteristico.

Dopo quattro anni dal suo ultimo lavoro (“Baby Driver“), Wright fa il suo ritorno dietro alla macchina da presa, confezionando un nuovo film. “Nuovo” non solo in termini temporali, ma anche e soprattutto di contenuti.
“Last Night in Soho” è infatti un vero e proprio horror psicologico. Se film come “L’alba dei morti dementi” o “Scott Pilgrim vs. the world” erano più improntati sulla commedia, questa nuova pellicola ha un tono molto diverso. Qui Edgar Wright che si distanzia da alcuni suoi tratti caratteristici, ma riesce comunque a mettere in scena qualcosa di nuovo in maniera elegante e d’impatto.

La storia narrata è quella di Ellie, una giovane studentessa che dalla remota campagna della Cornovaglia si trasferisce nel cuore pulsante di Londra per studiare moda.
Purtroppo la ragazza si troverà sin da subito esclusa e bistrattata
dall’ambiente nel quale vive e dalle persone che la circondano. L’unica vera ancora di salvezza, il suo unico mezzo di escapismo è la sua passione per tutto ciò che riguarda gli anni ’60: vestiti, musica, ambientazioni.
Una notte, chiusa nella sua stanza, Ellie riesce in un qualche modo a stabilire una vera e propria connessione con la Londra degli anni ’60, riuscendo a seguire due persone dell’epoca: Sandie (Anya Taylor-Joy) e Jack. Naturalmente, quella che sembra una relazione idilliaca, sfocerà in una spirale di angoscia e sotterfugi che però cominceranno ad avere un influsso sulla stessa Ellie, che farà sempre più fatica a distinguere le due realtà.
Edgar Wright mette in scena dei topoi narrativi molto interessanti e per nulla semplici da sviscerare, riuscendo a non sfociare nel qualunquismo o nella banalità. Malattia mentale, estraniamento, isolamento e evasione dalla realtà, i temi principali affrontati da “Last Night in Soho“, vengono infatti sviluppati in modo eccellente.
Ma il film non è perfetto. Il terzo atto, per esempio, opta per una scelta narrativa un po’ troppo scontata, prevedibile e dall’impatto emotivo meno marcato. Fortunatamente però il film riesce a rimettersi in carreggiata giusto in tempo per riprendere tono e tornare al livello di pathos che quest’opera merita.
La combinazione tra la messa in scena e la resa visiva del film sarebbero già sufficienti per lasciare lo spettatore a bocca aperta, ma così “Last night in Soho” risulta senza dubbio uno dei film più interessanti dell’anno, ed una scommessa vinta da Edgar Wright e il suo cambio di registro.
