Le vocali di Rimbaud

Le vocali di Rimbaud

Le vocali di Rimbaud

Da sem­pre la poe­sia si basa sul pro­po­si­to del poe­ta di comu­ni­ca­re quan­to più pos­si­bi­le del­la pro­pria inti­mi­tà. Le gio­ie che ele­va­no, i moti inte­rio­ri che atter­ri­sco­no: que­sto e mol­to altro muo­ve l’istinto poe­ti­co. Ma in pochi pri­ma di Rim­baud era anda­ti tan­to in pro­fon­di­tà…

Mi sareb­be pia­ciu­to vede­re l’espressione del gio­va­ne Arthur Rim­baud men­tre immor­ta­la­va, con la sua effer­ve­scen­te fan­ta­sia, il colo­re del­le voca­li. Al cul­mi­ne dell’ispirazione dev’essersi accor­to lui stes­so del­la straor­di­na­ria novi­tà di quei ver­si, ma que­sto, alla pro­va dei fat­ti, for­tu­na­ta­men­te non l’ha spa­ven­ta­to né tan­to­me­no dis­sua­so dal suo pro­po­si­to.

Pas­sa­to alla sto­ria come “poè­te mau­dit”, poe­ta male­det­to, la sua fama dipen­de sen­za ombra di dub­bio anche da que­sta sua scel­ta di abbrac­cia­re uno sti­le di vita diver­so da quel­lo comu­ne­men­te rite­nu­to degno di rispet­ta­bi­li­tà. Spes­so capi­ta che i gran­di meri­ti di un uomo, in que­sto caso let­te­ra­ri, ven­ga­no pre­ce­du­ti e in un cer­to modo ingi­gan­ti­ti dal suo esse­re fuo­ri dal­la nor­ma. Que­sto è per­fet­ta­men­te com­pren­si­bi­le, soprat­tut­to quan­do il sog­get­to è un ado­le­scen­te ribel­le, che vive nel­la mise­ria e si oppo­ne alle con­ven­zio­ni di una socie­tà oppri­men­te. Ma non è que­sto il caso: baste­reb­be leg­ge­re Rim­baud sen­za cono­sce­re nul­la del­la sua bio­gra­fia per ren­der­si con­to che lo sti­le di quel ragaz­zo -poi­ché la sua car­rie­ra poe­ti­ca si esau­ri­sce pri­ma dei vent’anni- ave­va tut­te le car­te in rego­la per rivo­lu­zio­na­re il modo occi­den­ta­le di far poe­sia. E così è sta­to.

Non fu il solo ovvia­men­te; insie­me a lui Bau­de­lai­re e Ver­lai­ne, solo per cita­re i più cele­bri, ebbe­ro un ruo­lo altret­tan­to deci­si­vo in que­sto per­cor­so, tut­ta­via quan­do si vuo­le inqua­dra­re il movi­men­to sim­bo­li­sta, un testo di indub­bia rile­van­za è “La let­te­ra del Veg­gen­te”, scrit­ta da Rim­baud nel 1871 e indi­riz­za­ta all’amico Paul Deme­ny. In que­sto bre­ve ma den­sis­si­mo Mani­fe­sto del­la sua poe­ti­ca, Rim­baud defi­ni­sce la figu­ra del “gran­de male­det­to”, il poe­ta Veg­gen­te, cioè colui che, attra­ver­so uno sti­le di vita sre­go­la­to, fat­to di ecces­si e di ogni varie­tà di pas­sio­ni, assu­me il ruo­lo di “ladro di fuo­co”: è que­sti un Pro­me­teo moder­no che sve­la l’inconoscibile agli uomi­ni comu­ni. Il suo lin­guag­gio dovrà esse­re pro­fon­da­men­te inno­va­ti­vo, poi­ché non potrà che rivol­ger­si diret­ta­men­te all’anima dei let­to­ri per tra­smet­te­re pie­na­men­te il signi­fi­ca­to del­le cose e, per far­lo, sarà neces­sa­rio che il poe­ta dia voce alla sua stes­sa ani­ma.

Di qui la poe­sia “Voca­li”, il cui gran pre­gio è quel­lo di rispet­ta­re alla let­te­ra quan­to appe­na enun­cia­to. Il pre­sup­po­sto è piut­to­sto sem­pli­ce: asso­cia­re un colo­re e un insie­me di imma­gi­ni ad ogni voca­le. Ma la gran­dez­za di que­sta com­po­si­zio­ne risie­de pro­prio qui, nell’elevare a digni­tà poe­ti­ca un mec­ca­ni­smo che ci riguar­da tut­ti, che incon­scia­men­te ci indu­ce ad asso­cia­re enti­tà fra loro mol­to dif­fe­ren­ti. A chi non è mai avve­nu­to di pen­sa­re ad una cosa e simul­ta­nea­men­te di fini­re cata­pul­ta­to da tutt’altra par­te? Que­sto pro­ce­di­men­to in poe­sia esi­ste e vie­ne appun­to chia­ma­to ana­lo­gia, per­ché la ragio­ne dell’accostamento non è defi­ni­bi­le attra­ver­so la logi­ca, ma sem­pli­ce­men­te per asso­cia­zio­ne di idee. Per que­sto, par­ten­do da un con­cet­to, può svi­lup­par­si una sequen­za di riman­di e la con­clu­sio­ne di que­sto pro­ces­so può non ave­re nul­la a che vede­re con il pun­to di par­ten­za.

Tut­to ciò è mera­vi­glio­so, spe­cial­men­te se si riflet­te sul fat­to che in que­sto modo si ha la pos­si­bi­li­tà di pene­tra­re nell’immaginazione del poe­ta e di sco­pri­re la sor­pren­den­te varie­tà di riman­di che può sca­tu­ri­re da una sola imma­gi­ne, per­ché, come è natu­ra­le, non esi­ste una veri­tà asso­lu­ta quan­do si par­la di ana­lo­gie. Ogni indi­vi­duo dota­to di imma­gi­na­zio­ne può ripren­de­re il cano­vac­cio ste­so da Rim­baud e ria­dat­ta­re la poe­sia in base alla pro­pria inte­rio­ri­tà.

Ma in tut­to ciò, oltre all’immaginazione, anche i ricor­di gio­ca­no un ruo­lo pri­ma­rio. La com­ples­si­tà del­le imma­gi­ni, la loro capa­ci­tà di susci­ta­re emo­zio­ni nel let­to­re dipen­de dal­la stra­ti­fi­ca­zio­ne o, per meglio dire, dal­le con­nes­sio­ni fra ricor­di. Que­sti devo­no esse­re visti come fon­ti da cui attin­ge­re e se sono fra loro con­nes­se, come vasi comu­ni­can­ti, il risul­ta­to che ne sca­tu­ri­rà sarà sen­za dub­bio più intri­ca­to, più per­so­na­le. Come per le sequen­ze gene­ti­che mag­gio­re è la lun­ghez­za dei fram­men­ti pre­si in esa­me, mag­gio­re è la pro­ba­bi­li­tà di sco­va­re dif­fe­ren­ze fra gli indi­vi­dui, così, più ci si adden­tra fra le con­nes­sio­ni del pro­prio ani­mo, più niti­de si faran­no le pecu­lia­ri­tà dell’io.

Rimbaud nel cinema

Con­si­glio a chi voles­se appro­fon­di­re la bio­gra­fia del poe­ta un lun­go­me­trag­gio del 1971 di Nelo Risi inti­to­la­to “Una sta­gio­ne all’inferno”. Qui pro­po­nia­mo il link che vi indi­riz­ze­rà alla sce­na in cui, per boc­ca di Rim­baud, vie­ne pre­sen­ta­ta la “Let­te­ra del veg­gen­te”.

Di Ste­fa­no Cor­no