
Che cos’è la vita probabilmente ce lo siamo chiesti un po’ tutti, perché significa interrogarci su noi stessi e su ciò che ci rende in grado di percepire il mondo intorno a noi e di porci domande come questa. A cercare di dare una risposta è Erwin Schrödinger, uno dei fisici che durante il corso del Novecento ha contribuito, con la formulazione della celebre equazione che porta il suo nome, alla formulazione della meccanica quantistica. Schrödinger era un tipo molto originale, indossava sempre dei buffi occhiali rotondi ed era un inguaribile donnaiolo.
Siamo nel 1943 quando lo scienziato, presso il Trinity College di Dublino, tiene una serie di lezioni con l’obiettivo di dare una spiegazione fisica del fenomeno della vita, applicando la meccanica quantistica allo studio delle molecole viventi. Queste lezioni vengono raccolte in un libretto intitolato “Che cos’è la vita?”, che viene poi pubblicato l’anno successivo.
Schrödinger come prima cosa si chiede se sia possibile studiare la vita, ed in particolare i meccanismi dell’ereditarietà, con le leggi che governano il mondo macroscopico in cui viviamo.
Le leggi fisiche che descrivono il comportamento di un gene sono le stesse che governano una macchina a vapore?
Le macchine a vapore e il mondo in cui viviamo seguono leggi statistiche, dette anche dei grandi numeri. In termodinamica queste leggi statistiche sono dovute al movimento caotico delle particelle: una singola particella si comporta in modo imprevedibile, senza che ci sia una legge precisa ad indicare il suo comportamento; tuttavia se estendiamo lo sguardo all’intero sistema macroscopico troviamo che esso presenta delle regolarità, che vengono poi tradotte nelle leggi fisiche che descrivono il nostro mondo. Queste regolarità sorprendentemente derivano dal disordine molecolare e indicano il comportamento che in media viene assunto dalle particelle. Viene, quindi, estratto ordine dal disordine.
Per i geni è possibile estrarre ordine dal disordine?
Se si dovessero applicare le leggi statistiche ai geni, il rumore, ovvero il livello di imprecisione, sarebbe considerevolmente più grande di quello effettivamente registrato. Ecco quindi il motivo per cui in questo contesto vengono introdotte le leggi della meccanica quantistica, che descrivono il comportamento del mondo nell’infinitamente piccolo.
Schrödinger introduce poi un’ipotesi dirompente: la molecola del gene –o forse l’intera fibra cromosomica– non sarebbe altro che un cristallo aperiodico, ovvero un cristallo in cui a ripetersi nello spazio non è sempre lo stesso gruppo di atomi ma atomi o gruppi di atomi diversi, ognuno adibito allo svolgimento di una particolare funzione. È questa diversità a garantire la diversità della vita.
Che spazio trovano le mutazioni genetiche in questo contesto?
Esse non sarebbero altro che salti quantici verso una nuova conformazione isomerica, ovvero una molecola composta dagli stessi atomi del gene di partenza ma in una disposizione diversa. Perciò se in un giorno non molto lontano nella specie umana dovessero comparire individui con i capelli verdi, questa nuova mutazione sarà dovuta a un salto quantico del gene ‘colore dei capelli’ verso una nuova conformazione. *
A partire dal libro di Schrödinger inizierà a prendere forma la biologia molecolare, che tuttavia si è sviluppata senza quasi fare rifermento alla meccanica quantistica. Solo dieci anni dopo, nel 1953, verrà scoperta la struttura del DNA. Sempre sull’onda di questo pensiero prenderà forma la biologia quantistica, che si propone di applicare principi di meccanica quantistica a problematiche che si riferiscono alla biologia.
Nonostante gli enormi progressi fatti negli ultimi anni, che cos’è la vita gli scienziati continuano ancora a chiederselo. La risposta a questa domanda è sfuggente, perché anche se conosciamo il funzionamento della cellula e dei meccanismi ereditari, la complessità della vita nella sua totalità resta ancora un mistero. Siamo a conoscenza delle reazioni termodinamiche all’interno della cellula, delle tecniche più avanzate della genetica e delle più complesse reazioni biochimiche, ma la verità è che nei nostri laboratori non riusciamo ancora a produrre nella loro simultaneità tutti quei meccanismi che anche i più piccoli batteri mettono in atto contemporaneamente dando origine alla vita. Jim Al-Khalili e Johnjoe McFadden nel loro libro ‘La fisica della vita’ paragonano a un enigmatico sorriso questo senso di smarrimento misto a meraviglia e per descriverlo fanno riferimento a Lewis Carrol. “Ho visto spesso un gatto senza sorriso, ma mai un sorriso senza gatto”: la vita continua a sorriderci e ci sfugge.
*[In realtà la questione è un po’ più complessa, quindi se qualcuno di voi fosse un grande appassionato di biologia, fisica quantistica e genetica vi consiglio di leggere il libro, che sicuramente è più accurato. In particolare questo problema è affrontato nel capitolo IV, “Prova di un carattere quantistico delle mutazioni”]
Di Francesca Malavasi