
Lo studio dei coproliti fossili ci può dare informazioni importanti sulle abitudini alimentari di molti animali, tra cui noi ed i dinosauri.
l termine coprolite deriva dal greco kópros (sterco) e líthos (pietra), e sta ad indicare un escremento prodotto da un animale nel passato che è poi fossilizzato.
Lo studio di queste importanti testimonianze permette ai paleontologi di ottenere informazioni. I coproliti sono stati indispensabili per capire le abitudini alimentari di molti animali (tra cui i dinosauri), ma anche il loro metabolismo, la fisiologia e gli ambienti in cui vivevano. Quando studiamo le feci fossili di un animale erbivoro, i resti vegetali ancora presenti negli escrementi possono darci informazioni sulla dieta, ma andando ad identificare questi possiamo iniziare a ricostruire il paleo-ambiente in cui viveva.
Proprio per questo, i coproliti dovrebbero essere regolarmente raccolti ed esaminati durante gli scavi paleontologici e paleoantropologici, e integrati con altre prove archeologiche e paleoecologiche. Le ricerche future dovrebbero concentrarsi su una migliore comprensione della formazione del coprolite, e quindi di tutti i fenomeni tafonomici che agiscono su di esso durante il seppellimento. Questo può essere ottenuto attraverso la collaborazione interdisciplinare tra geoarcheologia e geochimica organica.
L’IDENTIFICAZIONE
Come facciamo a capire chi ha prodotto gli escrementi? Andando ad analizzare la composizione del coprolite, possiamo facilmente separare animali erbivori da carnivori. Nelle feci fossili di animali che si cibavano di vegetali troviamo spore, pollini e semi; mentre in quelle prodotte dai carnivori possiamo addirittura rinvenire ossa delle prede. Il resto va ad “interpretazione”, possiamo osservare la superficie o le sezioni sottili del fossile al microscopio, possiamo associare la forma ad un particolare animale, oppure, se siamo fortunati, la formazione geologica in cui è stato ritrovato potrebbe fornirci degli ulteriori aiuti ( per approfondimenti si rimanda al seguente link https://www.nhm.ac.uk/discover/what-is-a-coprolite.html). Solitamente, però, un’identificazione precisa e sicura non è possibile.
IL PRIMATO
Il più grande coprolite conosciuto al mondo pesa 7 kg ed è lungo ben 44 cm. Fu ritrovato nel 1995 da alcuni paleontologi del Royal Saskatchewan Museum di Regina (Canada). La scoperta fu impressionante e dopo poco fu anche pubblicata sulla prestigiosa rivista.
Questa bellissima, ma umilissima cacca fossile è stata ritrovata nella “Frenchman Formation” e probabilmente fu prodotta da un Tyrannosaurus rex. I ritrovamenti di escrementi fossili di carnivori sono molto rari e questa scoperta ha aumentato la nostra comprensione della dieta e del comportamento alimentare dei dinosauri carnivori.
Lo studio, durato due anni, ha analizzato i vari frammenti ossei presenti all’interno del fossile, e in base a questi ha identificato la giovane preda del nostro tirannosauro: un dinosauro erbivoro dal “becco d’anatra”. Sempre grazie a questi pezzi di ossa si è scoperto che, a differenza dei coccodrilli moderni, molte ossa passavano indigerite attraverso l’intestino di questi grandi vertebrati.
Per approfondire e capire cosa possiamo scoprire sul passato dei dinosauri tramite i coproliti possiamo osservare questo video.
LO STUDIO DELLE SPORE FUNGINE
Lo studio delle spore fungine è stato spesso sottovalutato per quanto riguarda i coproliti umani, nonostante ci possano fornire una quantità di informazioni straordinarie, ad esempio sulla dieta, l’utilizzo di funghi come medicinali, sulla salute della popolazione…
Sebbene la maggior parte dei funghi commestibili non si riscontrino come macrofossili nei coproliti, le loro spore potrebbero sopravvivere al passaggio attraverso il tratto digestivo. (più info qui)

Jenna Marie Battillo, ricercatore presso il museo di storia naturale della Florida, ha trovato spore di Ustilago maydis, un fungo patogeno del mais, in coproliti umani provenienti dal sito Turkey Pen Ruin rockshelter, in Utah. Si pensa che il consumo di questo fungo non sia stato casuale, ma bensì deliberato, e forse incoraggiato. Si pensava infatti che questo fungo contrastasse alcune delle carenze nutrizionali associate a una dieta a predominanza di mais. Una cosa molto interessante è che la coltivazione del fungo (a scapito del mais) e il suo consumo per ragioni medicinali, ma anche come piatto prelibato, è ancora prevalente tra i gruppi Pueblo, popoli nativi americani originari del sud-ovest degli Stati Uniti.
Di Erika Heritier