Made in bangladesg

Made in Bangladesh – una lotta eterna per un po’ d’umanità

Made in bangladesg

himu è una gio­va­ne don­na di 23 anni che lavo­ra all’interno di una fab­bri­ca tes­si­le in Ban­gla­desh. Duran­te un nor­ma­le, se così si può defi­ni­re, gior­no lavo­ra­ti­vo all’interno dell’edificio, scop­pia un incen­dio che coste­rà la vita ad una del­le impie­ga­te.

In manie­ra rela­ti­va­men­te for­tui­ta, Shi­mu ver­rà avvi­ci­na­ta da una rap­pre­sen­tan­te di un’associazione espli­ci­tan­te i dirit­ti del­le don­ne, ma che ven­go­no pra­ti­ca­men­te sem­pre cal­pe­sta­ti dal­la socie­tà dove vivo­no. A Shi­mu vie­ne comu­ni­ca­to che sareb­be neces­sa­ria la crea­zio­ne di un sin­da­ca­to all’interno del­la fab­bri­ca dove lavo­ra, in modo tale da esse­re più tute­la­te sot­to diver­si pun­ti di vista. Infat­ti, le don­ne che vi lavo­ra­no, fan­no fati­ca a rice­ve­re lo sti­pen­dio che vie­ne spes­so e volen­tie­ri posti­ci­pa­to al mese suc­ces­si­vo; gli ora­ri di lavo­ro sono stre­man­ti ed inol­tre, viven­do in un con­te­sto estre­ma­men­te patriar­ca­le e miso­gi­no, ven­go­no trat­ta­te come poco più di ogget­ti vol­ti sola­men­te ad aumen­ta­re il pro­fit­to del­la fab­bri­ca all’interno del­la qua­le ope­ra­no. La tra­ma del film ruo­ta attor­no a Shi­mu inten­ta a cer­ca­re di rac­co­glie­re abba­stan­za fir­me per la costi­tu­zio­ne di un sin­da­ca­to, mostran­do­ci le insi­die e le dif­fi­col­tà di que­sto suo per­cor­so, che spa­zia­no dall’ambiente di lavo­ro, al com­pa­gno di vita, fino agli orga­ni socia­li…

Il film è un evi­den­te e più che dichia­ra­ta cri­ti­ca socia­le che si pre­oc­cu­pa di infor­ma­re e di denun­cia­re una real­tà all’interno del­la qua­le la don­na, in quan­to tale, è costret­ta ad arran­ca­re e a com­bat­te­re ogni gior­no con­tro innu­me­re­vo­li nemi­ci sola­men­te poi­ché nata tale. Que­sto mes­sag­gio pas­sa e vie­ne rac­con­ta­to attra­ver­so la denun­cia del­le con­di­zio­ni di lavo­ro in luo­ghi come il Ban­gla­desh che, come è più che noto, sono tutt’altro che gra­de­vo­li. Gra­zie a ciò il film mostra allo spet­ta­to­re le con­di­zio­ni all’interno del­le qua­li la don­na deve vive­re e a che dif­fi­col­tà si deve affac­cia­re ogni gior­no. E per cosa poi? Per pro­dur­re magliet­te la cui ven­di­ta di un sin­go­lo capo equi­va­le allo sti­pen­dio men­si­le di Shi­mu, citan­do e adat­tan­do un dia­lo­go del film stes­so. Vie­ne mostra­to il siste­ma patriar­ca­le e di come non fac­cia altro che smi­nui­re le don­ne, por­tan­do­le pra­ti­ca­men­te all’annichilimento in quan­to esse­ri uma­ni. Com­pa­gni di vita mane­schi che voglio­no che lasci­no il lavo­ro, o che non si immi­schi­no in “inu­ti­li affa­ri”. Dato­ri di lavo­ro che se ne infi­schia­no del­le con­di­zio­ni nel­le qua­li ope­ra­no ed un siste­ma giu­di­zia­rio che non esi­ste per i la gen­te pove­ra, sem­pre citan­do il film.

Il fina­le del film rac­chiu­de in manie­ra chia­ra e di for­te impat­to il mes­sag­gio che esso vuol far tra­spa­ri­re. Un fina­le che si potreb­be qua­si defi­ni­re come un “non fina­le” e la ragio­ne è estre­ma­men­te sem­pli­ce. La lot­ta per l’ottenimento dei dirit­ti non è sta­ta con­qui­sta­ta con que­sto film, ma è un pro­ces­so che sarà anco­ra estre­ma­men­te lun­go e for­se uto­pi­co. Ma per l’appunto, tale lot­ta non è anco­ra fini­ta e biso­gna fare di tut­to per por­tar­la avan­ti, svol­gen­do diver­si tipi di azio­ni. Come quel­la di fare un film per sen­si­bi­liz­za­re la gen­te sull’argomento, spe­ran­do che tut­to ciò pos­sa cam­bia­re con­cre­ta­men­te il futu­ro in manie­ra posi­ti­va.

Di Jaco­po Grep­pi