no time to die

No Time To Die: la fine di un’era

James Bond

Dopo non pochi rin­vii dovu­ti alla pan­de­mia, “No Time To Die” è final­men­te arri­va­to nel­le sale cine­ma­to­gra­fi­che, por­tan­do su scher­mo l’ultimo capi­to­lo del ciclo nar­ra­ti­vo di Daniel Craig come James Bond.


Que­sto film potreb­be in par­te sicu­ra­men­te esse­re visto sen­za aver guar­da­to i pre­ce­den­ti ma, per un’immersione tota­le e per car­pir­ne la pro­fon­di­tà nar­ra­ti­va, richie­de la visio­ne di “Casi­no Roya­le”, “Quan­tum of sola­ce”, “Sky­fall” e “Spec­tre”.

N.B. Come per la visio­ne del film, anche la let­tu­ra di que­sto arti­co­lo rac­co­man­da la visio­ne dei capi­to­li sopra­ci­ta­ti, in quan­to per spie­ga­re la bel­lez­za di “No Time To Die” è neces­sa­rio evo­ca­re dei fat­ti acca­du­ti nei film pre­ce­den­ti e in quest’ultimo capi­to­lo.

La mera­vi­glia del ciclo nar­ra­ti­vo di Daniel Craig sta pro­prio nel­la carat­te­riz­za­zio­ne e del­la mes­sa in sce­na del suo James Bond.

La super­spia non è più un per­so­nag­gio infal­li­bi­le e che ottie­ne sem­pre e comun­que ciò che bra­ma. Il James 

James Bond e Ana de Armas

Bond dell’attore bri­tan­ni­co è una raf­fi­gu­ra­zio­ne più rea­li­sti­ca, inti­mi­sta ed anco­ra­ta alla real­tà. In que­sti film l’agente è raf­fi­gu­ra­to come una figu­ra più auten­ti­ca poi­ché com­met­te degli erro­ri, si inna­mo­ra, si per­de, sof­fre e cer­ca di ritro­va­re sé stes­so affron­tan­do sia il pas­sa­to che l’avverso futu­ro.

Que­sto James Bond si potreb­be qua­si defi­ni­re mor­to già dopo il fina­le di “Casi­no Roya­le”, e non per­ché deci­de di appen­de­re la licen­za di ucci­de­re al chio­do, ma per­ché la mor­te del­la don­na di cui si è inna­mo­ra­to, Vesper, lo ha fran­tu­ma­to al pun­to di ucci­der­lo sot­to diver­si pun­ti di vista. L’aspetto del­la mor­te sarà ulte­rior­men­te evi­den­zia­to dal­la per­di­ta del per­so­nag­gio di Judi Dench, M, alla fine di Sky­fall. Quest’ultima rap­pre­sen­ta­va infat­ti uno degli ulti­mi capi­sal­di del­la vita di James Bond in quan­to tale. Con la mor­te di M egli si ritro­va sem­pre più per­so, a fran­tu­mi e sen­za più un sen­so di appar­te­nen­za al pre­sen­te.

Il tem­po si è ormai pro­trat­to trop­po in là per per­met­te­re a James Bond di sta­re al pas­so. Il tem­po nel cor­so dei film non ha fat­to altro che dila­niar­lo. Que­sto risul­ta ancor più pale­se in quest’ultimo film quan­do Bond si sepa­ra dal per­so­nag­gio di Made­lei­ne, met­ten­do­la su un tre­no ed inter­rom­pen­do per sem­pre i con­tat­ti con lei.

Segue un’ellissi di cin­que anni dove lo spet­ta­to­re non sa cos’abbia con­cre­ta­men­te fat­to Bond, ma si può facil­men­te imma­gi­na­re che i coc­ci del­la sua ani­ma si sia­no ulte­rior­men­te fran­tu­ma­ti.

No time to die

Mal­gra­do Bond sia final­men­te riu­sci­to a supe­ra­re la mor­te di Vesper, anche se è chia­ra­men­te anco­ra feri­to, si tro­va costret­to a com­pie­re un’operazione for­se anco­ra peg­gio­re del supe­ra­re un lut­to: deve sepa­rar­si dal­la don­na che ama.

Que­sta don­na gli darà una figlia, Mathil­de, ed una nuo­va pro­spet­ti­va di vita, di fami­glia e feli­ci­tà… Ma ormai è

trop­po tar­di. Per il per­so­nag­gio di Bond è giun­to il tem­po di mori­re e con la sua mor­te vie­ne incar­na­ta ed ele­va­ta all’ennesima poten­za la meta­fo­ra del tem­po che tra­scor­re e che pur­trop­po risul­ta tiran­no, mostran­do quan­to ormai cam­bia­re vita non sia più pos­si­bi­le.

“A James”

Jaco­po Grep­pi