Pingyao

Pingyao: l’altra faccia della Cina

Seb­be­ne non sia fra le mete più fre­quen­ti, Pin­gyao offre al visi­ta­to­re un’esperienza indi­men­ti­ca­bi­le.
Pingyao paesaggio

Pin­gyao, cit­tà rura­le del­la Cina nord-orien­ta­le, è quan­to di più cine­se un esplo­ra­to­re occi­den­ta­le pos­sa spe­ra­re. Appe­na giun­ti alla sua mode­sta sta­zio­ne dei tre­ni, se si pro­vie­ne da Pechi­no o da una del­le altre mega­lo­po­li cine­si, si ha l’immediata per­ce­zio­ne di una fru­ga­li­tà tut­ta pro­vin­cia­le e non solo 

per­ché non ci si tro­va cir­con­da­ti da impo­nen­ti palaz­zi o assa­li­ti da fol­go­ri di luce arti­fi­cia­le. Qui la fol­la che si river­sa sul­la ban­chi­na, pur essen­do vasta, -pare che in Cina non vi sia nul­la di pic­co­le dimen­sio­ne- è di gran lun­ga infe­rio­re rispet­to a quel­la di altre sta­zio­ni; inol­tre l’aria sem­bra più puli­ta, in alcu­ni momen­ti vaga­men­te pro­fu­ma­ta di erba bagna­ta e gra­no. Il cen­tro sto­ri­co, cir­con­da­to da un’antica cin­ta mura­ria e attra­ver­sa­to da lun­ghe vie in sel­cia­to, è sem­pli­ce­men­te straor­di­na­rio, soprat­tut­to per chi visi­ta la Cina con lo sco­po di entra­re in con­tat­to con il suo sti­le di vita tra­di­zio­na­le. Qui non com­pa­io­no le vetri­ne sfa­vil­lan­ti del­le gran­di cate­ne mul­ti­na­zio­na­li, piut­to­sto atti­vi­tà com­mer­cia­li mode­ste e frut­to di una men­ta­li­tà meno glo­ba­liz­za­ta.  Dal risto­ran­te al tugu­rio che ven­de chin­ca­glie­rie, dal car­to­la­io al ven­di­to­re di angu­rie, ogni cosa sem­bra far par­te di un micro­co­smo pro­tet­to dal­le mura stes­se, una dimen­sio­ne in cui è pos­si­bi­le cono­sce­re una Cina più genui­na, quel­la che for­se gli abi­tan­ti del­le metro­po­li cine­si igno­ra­no.

E poi ci sono gli edi­fi­ci, per­lo­più costru­zio­ni tipi­che, dei qua­li è dif­fi­ci­le dire a che epo­ca risal­ga­no. Come per il Giap­po­ne, un bino­mio carat­te­ri­sti­co di que­sta nazio­ne sta nel­la con­vi­ven­za fra anti­co e moder­no e, anco­ra di più, fra lus­so e degra­do. Per­ché lad­do­ve l’esasperata moder­niz­za­zio­ne non è anco­ra arri­va­ta, per­man­go­no i segni di una cul­tu­ra ance­stra­le, avver­ti­bi­le negli usi del­la gen­te comu­ne.

Pingyao

A Pin­gyao i tet­ti del­le dimo­re tra­di­zio­na­li, per via del­la loro for­ma tipi­ca­men­te arcua­ta e del colo­re auste­ro, invi­ta­no lo sguar­do del pas­san­te a pro­ce­de­re lon­ta­no. Di sera i lam­pio­ni e le lan­ter­ne ema­na­no un tenue sen­to­re ros­sa­stro che con­tra­sta con la luce elet­tri­ca dei risto­ran­ti. Nel­le gior­na­te d’estate que­sta è l’ora in cui le stra­de rila­scia­no il calo­re accu­mu­la­to fin dall’alba e al con­tem­po l’aria si riem­pie di que­gli efflu­vi che la cani­co­la ave­va come cri­stal­liz­za­to.

È l’ora di cena e i loca­li si riem­pio­no di avven­to­ri -anche se è pos­si­bi­le incon­trar­ne a qual­sia­si ora del gior­no-. I tavo­li sono occu­pa­ti da com­bric­co­le di clien­ti chias­so­si che si tro­va­no a con­di­vi­de­re le nume­ro­se por­ta­te dispo­ste al cen­tro del tavo­lo. È un cli­ma con­vi­via­le del qua­le l’occidentale non potrà mai dir­si del tut­to par­te­ci­pe. Qui, più che altro­ve, esi­ste uno scar­to incol­ma­bi­le fra autoc­to­ni e stra­nie­ri (spe­cial­men­te stra­nie­ri con trat­ti soma­ti­ci par­ti­co­la­ri qua­li i capel­li bion­di e ric­ci oppu­re un’altezza con­si­sten­te) e que­sto scar­to risul­ta evi­den­te dal­la rea­zio­ne di sor­pre­sa che coglie alcu­ni nel veder­si di fron­te per­so­ne tan­to diver­se, che non sono in gra­do di com­pren­de­re fino in fon­do.

È allo­ra che si sus­se­guo­no le occhia­te e i sor­ri­si imba­raz­za­ti, le richie­ste di posa­re per una foto ricor­do o i salu­ti dei bam­bi­ni, che pre­su­mi­bil­men­te non han­no mai visto nul­la di simi­le in vita pro­pria. Per­ché è vero che mol­te cit­tà cine­si si con­fan­no all’idea di alcu­ni occi­den­ta­li, che vedo­no la Cina come una nazio­ne evo­lu­ta e cosmo­po­li­ta, ma non si deve igno­ra­re l’esistenza dell’altra Cina, quel­la che appe­na al di fuo­ri del­le mega­lo­po­li vive un’esistenza coe­ren­te ai costu­mi dei pro­pri ante­na­ti.

 

Ste­fa­no Cor­no