teatro, teatro litta milano, MTM, decameron, boccaccio

Ritorno a teatro – una storia vera

Si tor­na a tea­tro! L’entusiasmo è mol­to, e mol­te sono anche le pos­si­bi­li­tà.

Tra i mol­ti tea­tri di Mila­no il Tea­tro Lit­ta ci pro­po­ne una ras­se­gna di spet­ta­co­li (anche nuo­vis­si­mi) dal tito­lo “Oltre l’arcobaleno”.

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Decameron – una storia vera

Ammet­te­te­lo: anche voi duran­te alme­no una del­le qua­ran­te­ne pas­sa­te ave­te pen­sa­to di riti­rar­vi da qual­che par­te con i vostri ami­ci e crea­re il vostro per­so­na­le Deca­me­ron.

La tra­ma del­lo spet­ta­co­lo, in pri­ma nazio­na­le al Tea­tro Lit­ta dal 23 giu­gno al 10 luglio, è pro­prio que­sta: sei arti­sti, duran­te il cor­so dell’epidemia, si chiu­do­no per die­ci gior­ni nel­la casa di uno di loro a rac­con­tar­si sto­rie. Sono sto­rie tut­te diver­se per sti­le, regi­stro e temi. La strut­tu­ra del­lo spet­ta­co­lo, però, per­met­te loro di amal­ga­mar­si comun­que bene.

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Fat­ta ecce­zio­ne per il pri­mo e l’ultimo, ogni atto/capitolo ci pre­sen­ta una diver­sa “novel­la”, rac­con­ta­ta a tur­no da uno degli arti­sti.

C’è però una dif­fe­ren­za essen­zia­le con il “Deca­me­ron” ori­gi­na­le: il mes­sag­gio di Boc­cac­cio vole­va esse­re posi­ti­vo. Il poe­ta vole­va infat­ti dimo­stra­re con le sue novel­le che è pos­si­bi­le rial­zar­si da qua­lun­que disgra­zia si ven­ga col­pi­ti, che sia essa una pan­de­mia o qual­sia­si altra cosa.

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In “Deca­me­ron – una sto­ria vera” non è così. Ogni sto­ria, anche quan­do non ha un fina­le tra­gi­co espli­ci­to, lascia allo spet­ta­to­re un sen­so di ama­rez­za e inquie­tu­di­ne. Ciò non signi­fi­ca che lo spet­ta­co­lo e le sto­rie sia­no ecces­si­va­men­te pesan­ti, anzi, ma il cli­ma non è cer­to gio­io­so.

Anche la cor­ni­ce è immer­sa in quest’atmosfera. A fine spet­ta­co­lo (per­met­te­te­mi que­sto spoi­ler) gli ospi­ti se ne van­no, lascian­do solo il padro­ne di casa con il disor­di­ne lascia­to da quel­la stra­na festa, con quel­la tri­stez­za sospe­sa che tan­to bene ha espres­so Leo­par­di ne “La sera del dì di festa”.

presenze incombenti

A con­tri­bui­re al sen­so di inquie­tu­di­ne c’è un ele­men­to che com­pa­re, più o meno dichia­ra­ta­men­te, in tut­te le sto­rie: la tele­ca­me­ra.

Filip­po Ren­da, atto­re e dram­ma­tur­go del­lo spet­ta­co­lo, ci dice infat­ti in un’inter­vi­sta per la Gaz­zet­ta di Mila­no, che ha nota­to come “in ogni novel­la di Boc­cac­cio ci fos­se la pre­sen­za, o la pau­ra del­la pre­sen­za, di un occhio che guar­da e giu­di­ca le azio­ni dei pro­ta­go­ni­sti: se nel testo di ispi­ra­zio­ne l’occhio è quel­lo di Dio, nel­la mia dram­ma­tur­gia l’occhio è quel­lo del­le tele­ca­me­re.

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Il rife­ri­men­to è chia­ro: è ormai da decen­ni che si guar­da a que­sta “nuo­va tec­no­lo­gia” con sospet­to.

Ma quel­la del­le tele­ca­me­re non è l’unica pre­sen­za incom­ben­te all’interno del­lo spet­ta­co­lo. Nel pri­mo e nell’ultimo capi­to­lo, nel­la casa dove sono rin­chiu­si i sei arti­sti c’è un enor­me oro­lo­gio, o meglio: un enor­me timer.

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Il timer del­lo spet­ta­co­lo non ha neces­sa­ria­men­te una con­no­ta­zio­ne nega­ti­va: segna infat­ti solo lo scor­re­re dei die­ci gior­ni in casa. Que­sto gigan­te­sco con­to alla rove­scia riman­da ad un altro timer, ben più inquie­tan­te.

Il 19 set­tem­bre 2020 a Union Squa­re, New York City, un enor­me timer ha comin­cia­to il pro­prio con­to alla rove­scia par­ten­do da 7 anni, 95 gior­ni, 2 ore e 36 minu­ti: il tem­po che, secon­do gli esper­ti, sepa­ra l’umanità dal disa­stro ambien­ta­le.” Così reci­ta il libret­to del­lo spet­ta­co­lo.

Devo però dire che il tema ambien­ta­le, per quan­to pre­sen­te anche all’interno di alcu­ne del­le “novel­le”, non tra­spa­re così tan­to. Se il “bigliet­to da visi­ta” del­lo spet­ta­co­lo met­te così in rilie­vo que­sto argo­men­to, vie­ne da pen­sa­re che la per­for­man­ce ver­rà incen­tra­ta pro­prio su di esso. Se io fos­si anda­ta a vede­re lo spet­ta­co­lo alla cie­ca, sono cer­ta del fat­to che in quel con­to alla rove­scia non avrei sicu­ra­men­te visto quel­lo di New York.

Avrei sì sen­ti­to il peso dei que­sto gran­de timer,  ma for­se non l’avrei ricon­dot­to diret­ta­men­te alla cata­stro­fe ambien­ta­le che stia­mo viven­do.

For­se un mes­sag­gio di spe­ran­za, un modo per fer­ma­re il con­to alla rove­scia pri­ma che arri­vi a zero, c’è però anche in que­sto nuo­vo Deca­me­ron, ma va cer­ca­to fuo­ri dal testo: il ritor­no a tea­tro.

Ele­na Poz­zi

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