
Salomé nella storia
La figura di Salomé, figlia di Erode Filippo ed Erodiade, nel corso della storia è stata fonte di ispirazione per un certo numero di illustri artisti, non solo pittori quali Gustave Moreau, Caravaggio e Klimt, ma anche registi e compositori.
Nella cerchia di scrittori che hanno contribuito ad eternare questa personalità, già di per sé indimenticabile per via della sua implicazione con i Vangeli e in particolare con la vicenda di San Giovanni Battista, compare anche Oscar Wilde, che nel 1891, nove anni prima della sua morte, si trovava a Parigi. Fu probabilmente la stessa Ville Lumiere ad ispirarlo in quell’anno nella creazione della breve tragedia di Salomé. In effetti è difficile pensare che il clima culturale decadente della Parigi fin de siècle non l’abbia influenzato, sebbene già in altre opere avesse dato prova di essere figlio della sua epoca. In merito si può citare, anche solo di sfuggita, la Prefazione a “Il ritratto di Dorian Gray”, nonché il romanzo stesso.
Chi è Salomé? Tra San Matteo e Oscar Wilde
La fonte attraverso cui questa congerie di intellettuali ha tratto la vicenda di Salomé è senza dubbio il Vangelo di San Matteo. A differenza degli altri evangelisti, quest’ultimo dedica un paragrafo piuttosto corposo -in relazione alla lunghezza dei Vangeli- alle scelleratezze che andavano consumandosi alla corte del tetrarca Erode, mentre, in quello stesso momento la fama di Cristo accresceva di giorno in giorno grazie alle sue predicazioni per tutte le terre di Palestina. Il Suo nome raggiunse anche Giovanni Battista, che in quel periodo si trovava in carcere per essersi opposto, senza temere ripercussioni, ad Erode, del quale aveva deprecato l’incestuoso matrimonio con Erodiade. Costei infatti, prima di contrarre matrimonio con il tetrarca, era stata moglie di Erode Filippo, fratello di Erode, il quale l’aveva fatto assassinare per ragioni politiche. Durante il banchetto per festeggiare il compleanno del governatore, quest’ultimo convinse Salomé ad esibirsi in una danza, e, dato che la principessa inizialmente non voleva prestarsi alle fantasie del patrigno, in cambio ottenne che qualsiasi suo desiderio venisse esaudito: Salomé, forte del solenne giuramento prestato da Erode, chiede la testa di San Giovanni. Alcuni di questi ingredienti, inseriti nella tragedia al fine di drammatizzarla, discordano dalla versione sacra, oppure non vengono tenuti in considerazione. Per esempio non si allude affatto all’infatuazione di Erode nei confronti di Salomé, che invece appare assai evidente nella tragedia e, ancora, nel testo evangelico si riferisce che la principessa, facendo uccidere Giovanni, avrebbe soddisfatto un desiderio della madre, esacerbata per le continue accuse che il detenuto le rivolgeva.
Chi è Salomé? Tra San Matteo e Oscar Wilde
La fonte attraverso cui questa congerie di intellettuali ha tratto la vicenda di Salomé è senza dubbio il Vangelo di San Matteo. A differenza degli altri evangelisti, quest’ultimo dedica un paragrafo piuttosto corposo -in relazione alla lunghezza dei Vangeli- alle scelleratezze che andavano consumandosi alla corte del tetrarca Erode, mentre, in quello stesso momento la fama di Cristo accresceva di giorno in giorno grazie alle sue predicazioni per tutte le terre di Palestina. Il Suo nome raggiunse anche Giovanni Battista, che in quel periodo si trovava in carcere per essersi opposto, senza temere ripercussioni, ad Erode, del quale aveva deprecato l’incestuoso matrimonio con Erodiade. Costei infatti, prima di contrarre matrimonio con il tetrarca, era stata moglie di Erode Filippo, fratello di Erode, il quale l’aveva fatto assassinare per ragioni politiche. Durante il banchetto per festeggiare il compleanno del governatore, quest’ultimo convinse Salomé ad esibirsi in una danza, e, dato che la principessa inizialmente non voleva prestarsi alle fantasie del patrigno, in cambio ottenne che qualsiasi suo desiderio venisse esaudito: Salomé, forte del solenne giuramento prestato da Erode, chiede la testa di San Giovanni. Alcuni di questi ingredienti, inseriti nella tragedia al fine di drammatizzarla, discordano dalla versione sacra, oppure non vengono tenuti in considerazione. Per esempio non si allude affatto all’infatuazione di Erode nei confronti di Salomé, che invece appare assai evidente nella tragedia e, ancora, nel testo evangelico si riferisce che la principessa, facendo uccidere Giovanni, avrebbe soddisfatto un desiderio della madre, esacerbata per le continue accuse che il detenuto le rivolgeva.

Una capricciosa passione amorosa
Sta proprio in quest’ultimo tratto la novità più interessante apportata da Wilde alla tradizione. Poco prima della fatidica danza, Salomé riesce a persuadere alcuni servitori a contravvenire all’ordine del re con il quale si impediva a chiunque di avvicinarsi a Iokanaan (denominazione ebraica del Battista).
Non serve più di un istante perché la passione per il profeta divampi. Malgrado le suppliche della fanciulla, l’amato non si allontana dal suo iniziale ripudio, essendo disgustato dai torbidi intrallazzi e dalla decadenza morale della sua famiglia. Eppure questo atteggiamento di disprezzo nei suoi riguardi non la fa desistere. C’è qualcosa in lui che l’attrae e la conduce in breve al parossismo del desiderio. Vorrebbe toccargli i capelli e il corpo, baciarlo sulle labbra, insomma dominarlo, intrappolarlo nelle trame del suo amore effimero. Come si addice ad una “femme fatale” d’altronde, Salomé si dimostra pronta a tutto pur di realizzare le sue intenzioni. Invero si dirà soddisfatta soltanto quando le sarà stato recato il piatto d’argento con la testa della vittima e finalmente le labbra di lui saranno pronte ad incontrare le sue. Questi attimi di intenso pathos letterario vengono immortalati dall’arte di Aubrey Beardsley, che illustrò la prima edizione dell’opera.
Uno stile sublime
A mio parere ciò che rende piacevole questa tragedia dal punto di vista stilistico (mi riferisco alla traduzione italiana) è l’aura di dolcezza che emana ogni singola battuta. Chi avesse letto in precedenza il Cantico dei Cantici potrebbe aver trovato delle sorprendenti analogie tra le due opere. In effetti è possibile che Wilde abbia scelto di modellare il testo proprio sulla base della sublimità che caratterizza il cantico di Salomone. In alcuni punti, specialmente durante il dialogo tra Salomé e Iokanaan, ricorrono metafore nelle quali la principessa associa diverse parti del corpo dell’amato a elementi caratteristici della tradizione medio orientale. Per cui si possono trovare paragoni arditi, come quello che coinvolge i fiori di melograno, dei quali la bocca del Battista sarebbe più rossa, oppure quello dei capelli dell’amato, che ricorderebbero i cedri del Libano. D’altra parte questa dovizia di particolari e il gusto per i paragoni altisonanti dovevano essere assai apprezzati dai lettori tardo ottocenteschi, assuefatti dalla magniloquenza decadente.
Di Stefano Corno