gender discrimination-min

The key is to change

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Come l’industria musi­ca­le con­tri­bui­sce alla discri­mi­na­zio­ne di gene­re e cosa può fare ognu­no di noi per­chè que­sto non avven­ga.

Discri­mi­na­zio­ne. Discri­mi­na­zio­ne di gene­re, raz­zia­le, etni­ca, poli­ti­ca, reli­gio­sa, eco­no­mi­ca, per orien­ta­men­to ses­sua­le o per posi­zio­ne socia­le. Nien­te di nuo­vo sot­to il sole.

Pur­trop­po. Ogni gior­no le noti­zie di cro­na­ca ci ripor­ta­no casi che dimo­stra­no come la nostra socie­tà sia pro­fon­da­men­te per­va­sa da dina­mi­che e strut­tu­re che di fre­quen­te por­ta­no ad un trat­ta­men­to di sfa­vo­re nei con­fron­ti di alcu­ne per­so­ne rispet­to a quel­lo che rice­ve­reb­be­ro altri nel­la stes­sa situa­zio­ne. E non si trat­ta di epi­so­di iso­la­ti, ma di un vero e pro­prio pro­ces­so siste­mi­co che suben­tra in ogni ambi­to del­la nostra real­tà. Tra gli altri quel­lo dell’industria musi­ca­le e del mon­do del­lo spet­ta­co­lo.

Ad ini­zio 2019 la USC Annen­berg, Scuo­la di Comu­ni­ca­zio­ne e di Gior­na­li­smo del­la USC (Uni­ver­si­ty of Sou­thern Cali­for­nia), ha pub­bli­ca­to uno stu­dio dal tito­lo “Inclu­sion in the Recor­ding Stu­dio” che valu­ta la discri­mi­na­zio­ne di gene­re e raz­zia­le tra arti­sti, can­tau­to­ri e pro­dut­to­ri musi­ca­li basan­do­si su 700 can­zo­ni popo­la­ri usci­te tra il 2012 ed il 2018. I risul­ta­ti par­la­no da soli.

Su un nume­ro tota­le di 1.455 arti­sti il rap­por­to uomi­ni-don­ne è di 3,6:1, in par­ti­co­lar modo nel 2018 la per­cen­tua­le di don­ne arti­ste era sol­tan­to del 17.1%. Il diva­rio diven­ta anco­ra più ampio se si guar­da allo stes­so rap­por­to foca­liz­za­to sul­la cate­go­ria dei pro­dut­to­ri. Ad ogni don­na cor­ri­spon­do 47 uomi­ni. In quan­to a can­tau­to­ri con­si­de­ran­do la media tra le diver­se anna­te pre­se in esa­me risul­ta che l’87.7% sia­no uomi­ni ed il restan­te 12.3 don­ne.

Pare inve­ce in via di miglio­ra­men­to la per­cen­tua­le di arti­sti di colo­re che se nel 2013 rap­pre­sen­ta­va­no sol­tan­to il 30.7% del tota­le nel 2018 han­no rag­giun­to quo­ta 55.6. Tut­ta­via con­si­de­ran­do un nume­ro com­ples­si­vo di 871 pro­dut­to­ri sol­tan­to 4 risul­ta­no esse­re don­ne di colo­re.

Se la dispa­ri­tà è evi­den­te in quan­to a pre­sen­za sul lavo­ro lo diven­ta ancor di più andan­do ad ana­liz­za­re le sta­ti­sti­che di retri­bu­zio­ne e di rico­no­sci­men­ti. Si può nota­re come dal 2013 al 2019 un’esigua per­cen­tua­le dei gram­my awards sia sta­ta asse­gna a don­ne, sol­tan­to il 10.4%. Allon­ta­nan­do­si dal­lo sce­na­rio ame­ri­ca­no e tor­nan­do sul Vec­chio Con­ti­nen­te i dati mostra­no come le don­ne in ambi­to musi­ca­le a pari­tà di impie­go rice­va­no appros­si­ma­ti­va­men­te il 30 % in meno di sti­pen­dio rispet­to ai col­le­ghi uomi­ni.

Il ruo­lo del­la don­na, come in mol­ti altri con­te­sti (lavo­ra­ti­vi e non), sem­bra quin­di rima­ne­re sem­pre mar­gi­na­le.

Pro­prio per que­sto nel 2015 è nato un movi­men­to che si bat­te per­ché all’interno dell’industria musi­ca­le viga a tut­ti gli effet­ti la pari­tà di gene­re, il “The key­chan­ge Move­ment”. Il pro­gram­ma, atti­vo in dodi­ci Pae­si, oltre che soste­ne­re sin­go­li arti­sti sot­to­rap­pre­sen­ta­ti, si occu­pa di pro­pa­gan­da­re tra com­pa­gnie ed orga­niz­za­zio­ni musi­ca­li l’importanza del­la que­stio­ne spro­nan­do affin­ché entro il 2022 festi­val e con­cer­ti veda­no una rap­pre­sen­tan­za al 50 e 50 di uomi­ni e don­ne. Al momen­to più di 300 asso­cia­zio­ni e com­pa­gnie che lavo­ra­no nel set­to­re musi­ca­le han­no fir­ma­to e si stan­no dun­que impe­gnan­do per­chè que­sto pro­po­si­to diven­ti real­tà.

Ma noi, nel nostro pic­co­lo, dal­le mura del­la nostra casa (pro­ba­bil­men­te in zona ros­sa) come pos­sia­mo con­tri­bui­re alla cau­sa e quin­di ten­ta­re di ren­de­re la socie­tà nel­la qua­le vivia­mo, alme­no sot­to que­sto aspet­to, più soste­ni­bi­le ed inclu­si­va?

Come si sen­te spes­so dire “è il con­su­ma­to­re che det­ta le leg­gi di mer­ca­to”. Dun­que “è l’ascoltatore che det­ta le leg­gi dell’industria musi­ca­le”. Infor­mia­mo­ci, creia­mo play­li­st che sia­no bilan­cia­te in quan­to a rap­pre­sen­tan­za di gene­re e pre­fe­ria­mo musi­ca pro­dot­ta da eti­chet­te che si impe­gna­no in tal sen­so. Divul­ghia­mo l’informazione, abbia­mo un’infinità di cana­li per far­lo, fac­cia­mo in modo che sem­pre più per­so­ne sia­no a cono­scen­za del pro­ble­ma. Ren­dia­mo nota l’esistenza del Key­chan­ge pro­gram­me, più per­so­ne lo cono­sce­ran­no più case ed eti­chet­te disco­gra­fi­che saran­no por­ta­te a pren­der­vi par­te.

Non sarà cer­to un pro­ces­so imme­dia­to, ci vor­ran­no tem­po, for­ze ed ener­gie, ma come tan­te lot­te del pas­sa­to ci han­no dimo­stra­to, la fati­ca ripa­ga ed anche quel­la che all’apparenza potreb­be sem­bra­re la più insi­gni­fi­can­te del­le azio­ni è in real­tà un fon­da­men­ta­le pas­so ver­so la rea­liz­za­zio­ne.

Di Rebec­ca Spa­do­ne