Uncharted, Nathan Drake, Hollywood, cinema, film, Tom Holland, Mark Wahlberg

Uncharted: lo stampino di Hollywood fallisce ancora

Un prodotto volto al fallimento

Ogni vol­ta che si sen­te una major Hol­ly­woo­dia­na affer­ma­re di vole­re tra­spor­re sul gran­de scher­mo un video­gio­co, non si può non esse­re estre­ma­men­te scet­ti­ci.

I risul­ta­ti pro­dot­ti fino­ra, infat­ti, han­no estre­ma­men­te delu­so il pub­bli­co, in par­ti­co­la­re i video­gio­ca­to­ri. Pur­trop­po, que­sto nuo­vo film con pro­ta­go­ni­sta Tom Hol­land nei pan­ni di Nathan Dra­ke non fa ecce­zio­ne, anche se per diver­si moti­vi c’era da aspet­tar­se­lo.

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Voler gua­da­gna­re con un pro­dot­to è più che nor­ma­le e giu­sto, altri­men­ti non si fareb­be­ro qua­si più film. Il pro­ble­ma sor­ge quan­do si met­te da par­te, mini­miz­zan­do, deco­struen­do e anni­chi­len­do, l’essenza di un pro­dot­to in favo­re del puro gua­da­gno. Del pro­dot­to adat­ta­to non rimar­rà qua­si nul­la sul gran­de scher­mo e quel poco che soprav­vi­ve sarà comun­que sog­get­to a vari cam­bia­men­ti.

Quando Uncharted non è Uncharted

Unchar­ted si pre­sen­ta così: l’adattamento di un video­gio­co che però del video­gio­co non nul­la, se non i nomi dei pro­ta­go­ni­sti… già un bel pro­ble­ma.

Uno dei pun­ti prin­ci­pa­li e di for­za del­la serie video­lu­di­ca sono pro­prio i per­so­nag­gi, le loro carat­te­ri­sti­che, il modo in cui inte­ra­gi­sco­no tra di loro e di come rie­sco­no a risol­ve­re pro­ble­mi mal­gra­do le avver­si­tà. Toglie­re i per­so­nag­gi vor­reb­be dire eli­mi­na­re Unchar­ted, e di con­se­guen­za la sua lin­fa vita­le. Il film non ha nul­la di que­sta essen­za: met­te in sce­na due per­so­nag­gi bidi­men­sio­na­li e che vivo­no di cli­ché.

Risul­ta dun­que chia­ra una del­le pro­ble­ma­ti­che alla base del pro­get­to: un film di Unchar­ted sen­za i per­so­nag­gi che dan­no vita a que­sta saga, non può esse­re un film di Unchar­ted e ne deri­ve­ran­no diver­si pro­ble­mi.

Lo stampino Hollywoodiano

Il film stra­vol­ge i per­so­nag­gi del video­gio­co e le loro azio­ni per ade­ri­re alla logi­ca Hol­ly­woo­dia­na secon­do la qua­le biso­gna appli­ca­re lo stes­so gene­re di for­mu­la ad un bloc­k­bu­ster per cer­ca­re di gua­da­gna­re più sol­di pos­si­bi­le, indi­pen­den­te­men­te dal­la qua­li­tà effet­ti­va del pro­dot­to rea­liz­za­to.

Que­sto suc­ce­de per­ché, per gua­da­gna­re tan­to, le major devo­no mini­miz­za­re il più pos­si­bi­le il fat­to­re rischio. Dun­que, fare un film basa­to su una saga video­lu­di­ca come quel­la di Unchar­ted risul­te­reb­be come un sal­to nel vuo­to.

È mol­to più sem­pli­ce fare l’ennesimo bloc­k­bu­ster : atto­ri in voga, effet­ti visi­vi non fun­zio­na­li alla tra­ma e un umo­ri­smo ado­le­scen­zia­le di bas­so livel­lo.

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Pur­trop­po, la con­se­guen­za è quel­la di ave­re un pro­dot­to vuo­to, dimen­ti­ca­bi­le e che vie­ne dato in mano ad un mestie­ran­te il cui uni­co obiet­ti­vo è sod­di­sfa­re il vole­re del­la major. È dif­fi­ci­le che in que­sti pro­dot­ti il regi­sta pos­sa met­te­re dei toc­chi del­la sua poe­ti­ca, del­la sua visio­ne per tra­smet­te­re un qual­co­sa.

Si trat­ta dun­que di un siste­ma che ten­ta di mini­miz­za­re il rischio, ma che spes­so e volen­tie­ri fini­sce per tirar­si la zap­pa sui pie­di, anche se rie­sce qua­si sem­pre ad ingan­na­re lo spet­ta­to­re.

Basti vede­re la mag­gior par­te dei film del Mar­vel Cine­ma­tic Uni­ver­se che a livel­lo di cri­ti­ca mon­dia­le e di pub­bli­co ha voti altis­si­mi.

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Sfor­tu­na­ta­men­te per Unchar­ted, esso si tro­va dall’altra par­te del­la meda­glia. Qui la super­fi­cia­li­tà e l’inefficacia del pro­dot­to sono tal­men­te pale­si, che il risul­ta­to non può che esse­re un fal­li­men­to sot­to tut­ti i pun­ti di vista.

Jaco­po Grep­pi